sabato 12 maggio 2018
«Casi di violenza circoscritti, ma pecore nere e cattivi maestri non mancano»
«La vera difficoltà? Scindere la cultura dalla religione»
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«Dobbiamo riuscire a scindere la cultura dalla religione e non sempre questo avviene». È molto schietto Yassine Lafram, coordinatore della comunità islamica di Bologna, papà di due maschi e di una femmina, quando riflette sul tema della questione generazionale dentro l’islam. «Le vicende di questi giorni ci dicono che, a volte, alcuni codici culturali prendono una veste religiosa quando invece di religioso non hanno nulla. In realtà, se si parla di educazione dei giovani e di rapporto con le seconde generazioni, non possiamo permetterci ambiguità» sottolinea Yassine, impegnato da sempre come mediatore culturale.

Come avete vissuto la vicenda di Sana, la ragazza che abitava a Brescia ed è stata uccisa dal padre?
È una storia che ha messo i brividi a ciascuno di noi, sin dalle prime versioni emerse in Pakistan, tutt’altro che convincenti. C’è una questione generazionale e una questione di conflitto intergenerazionale. Bisogna risolvere il problema alla radice: è normale che ragazzi e ragazze, a qualsiasi religione essi appartengano, vivano la fase dell’adolescenza e della giovinezza in modo dialettico, spesso acceso, con le proprie famiglie d’origine. Succede ed è successo da sempre, in tutte le epoche storiche. L’importante è essere chiari: il rispetto per la donna deve essere assoluto, il vincolo verso le leggi vigenti in uno Stato pure, così come l’attenersi ai programmi didattici previsti nelle scuole. Altrimenti, ripetono gli imam correttamente, se un musulmano non è d’accordo con tutto questo, fa prima a prendere e andarsene.

Meglio il ritorno in patria che una cattiva integrazione?
Certo. Mantenere la nostra identità religiosa non vuol dire andare contro le leggi in vigore in uno Stato. Semmai, per disporsi a un vero dialogo con le comunità in cui siamo inseriti, occorre formare personalità forti, più capaci di stare a contatto con gli altri. Lo stesso vale, a maggior ragione, quando si parla di educazione. Il ruolo di noi genitori deve essere di accompagnamento nei percorsi di crescita e di vita dei nostri figli, soprattutto se la ribellione in certe età assume forme ultrareligiose che rischiano di sfociare nella radicalizzazione. Attenzione: stiamo parlando di casi assolutamente minoritari, circoscritti a certe situazioni e a determinati ambienti familiari, visto che la stragrande maggioranza delle nostre famiglie non solo è pacifica, ma è anche parte integrante della propria comunità e del proprio territorio. Eppure, pecore nere e cattivi maestri non mancano.

Come affrontare lo scenario di una possibile rottura generazionale?
Serve un’educazione al digitale, che non riguarda solo il mondo musulmano ovviamente. Occorre far capire ai genitori in che mondo stanno vivendo i propri figli, decidendo di comunicare con loro anche sui social networkad esempio. Poi c’è un problema linguistico e un problema di linguaggio. Ci sono ragazzi nati e cresciuti in Italia che fanno fatica a capire l’arabo classico parlato nei sermoni dalle autorità religiose. Se lo parlano, parlano un dialetto che non permette però la comprensione dei principi e dei precetti del Corano. Secondo: affrontiamo apertamente la sfida della comunicazione con loro, avvicinandoci come dicevo a chi vive nei mondi virtuali di cui come genitori spesso non abbiamo alcuna consapevolezza. Internet è come la vita reale: c’è del buono e c’è del cattivo, è un mondo aperto e incontrollabile. Ma questo va accettato. Infine, ripartiamo dalle famiglie e dalla scuola: possiamo girarci intorno quanto vogliamo, ma quando parliamo di modelli e di valori restano decisivi l’esempio dei genitori e l’impegno degli insegnanti.

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