mercoledì 6 aprile 2016
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di gusto La chiamano 'tempesta perfetta' e a quanto pare non c’entra l’acqua. I produttori di latte sono in ginocchio e le cause sembravano note da tempo. Su queste pagine, già nell’inverno del 2014 raccogliemmo il grido di allarme degli allevatori, ma le cose, a quanto sembra, sono peggiorate parecchio, soprattutto dopo la fine del regime di quote latte a livello europeo, un anno fa. Mario Tommaso Abrate, vicepresidente di Fedagri Confcooperative, presiede a Bruxelles il Gruppo di Dialogo civile su latte e derivati e dice che il vizio italiano di fronte a un problema è attendere che esploda, così diventa emergenza. E quindi merita l’attenzione dei media, della politica, dei consumatori anche se il danno occupazionale ormai è fatto, così come l’indebitamento delle stalle. Nel frattempo il problema viene eufemisticamente risolto con palliativi che non sono mai la cura. Proviamo a mettere in linea i fatti. Il primo lo abbiamo detto: la Ue ha liberalizzato la produzione del latte, col risultato di un aumento dell’offerta. C’era da aspettarselo. Nel frattempo l’embargo di Putin, che qualcuno vede come prova per raggiungere l’autosufficienza alimentare, ha fatto diminuire la domanda, ma una riduzione dell’export è arrivata anche dalla depressione economica cinese. Nel frattempo, la libera Europa del latte si stava attrezzando per rispondere al risveglio di altri mercati, come l’India e il Sud America, ma i tempi non sono maturi e il latte deve comunque essere munto. C’è poi la denuncia di Coldiretti sulla produzione di semilavorati che arrivano dall’estero sulla spinta dell’ingordigia di grandi industrie e di una crisi che continua a serpeggiare e a volere prodotti anche di terza scelta. Come bloccare questo smercio in una libera Europa? Impossibile, ma la tracciabilità dovrebbe essere un diritto sia di chi acquista sia di chi produce con latte italiano al 100%. E qui, a Bruxelles, qualcuno sembra non volerci sentire. In questi giorni sembra che il problema lo stiano risolvendo le cooperative, ma è impensabile che possano assorbire, oltre un brevissimo periodo, il latte in esubero. Detto questo, Abrate due idee le avrebbe. La prima è contenere la produzione attraverso un doppio prezzo, come in Alta Savoia (puoi produrre solo 1000 litri di latte che saranno pagati secondo un accordo, il surplus verrà pagato molto meno); la seconda è un pensiero contingente: e se l’Europa considerasse di sfamare il popolo degli immigrati? Non sono soluzioni, certo, ma progetti ponte che rispondono al doppio bisogno di non buttare via il latte e nutrire il prossimo. Qualcosa va fatto. Ma dall’inverno del 2014 cosa si è fatto se non attendere la nuova emergenza? E che politica è quella che salta da un’emergenza all’altra senza cercare la normalità? © RIPRODUZIONE RISERVATA
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