giovedì 19 giugno 2025
Gli alunni di quinta di un istituto superiore siciliano, oggi impegnati nella maturità, per mesi hanno scritto ai coetanei reclusi nell'istituto penale per minorenni della città. Ecco com'è andata
Le "corrispondenze" tra studenti di un liceo di Acireale e carcere minorile
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Oggi cinquecentomila studenti sono impegnati nella seconda prova della maturità. Tra loro ci sono anche i ragazzi del quinto anno del liceo di scienze umane Regina Elena di Acireale, in Sicilia, che nell’anno scolastico appena trascorso si sono cimentati in un test che vale più di mille esami: una corrispondenza, fitta e costante, con un gruppo di coetanei che frequentano un’altra scuola della città, quella dietro alle sbarre dell’Istituto penale per minorenni (Ipm) locale.

Le due strutture sono separate da appena una strada ma i due mondi non potrebbero essere più lontani. Da una parte una scuola superiore normale, frequentata da 800 alunni; dall’altro un carcere in cui sono ristretti venti giovani dai 14 ai 25 anni, provenienti da Italia, Europa dell’est e nord Africa. La cooperativa locale Futura '89 ha provato a tirare un ponte tra i due poli, coinvolgendo i dirigenti e gli insegnanti dei plessi dirimpettai in un inedito progetto epistolare in cui i ragazzi si sono scritti lettere, raccontando la propria vita ma anche difficoltà, sogni ed emozioni.

«Ufficialmente – spiega Liliana di Maria, presidente della cooperativa capofila dell’iniziativa – il progetto “Corrispondenze” è nato a marzo. Nei mesi precedenti avevamo sperimentato lo scambio di lettere tra i ristretti nell’Ipm di Acireale e i minori di famiglie svantaggiate che accogliamo nel centro di aggregazione di Piazza Bovio di Catania e che coinvolgiamo attraverso laboratori. È piaciuto e così abbiamo esteso l’invito anche al liceo Regina Elena, che l’ha accolto. Sinceramente, però, non ci aspettavamo che funzionasse così bene, soprattutto nell’epoca dei social in cui pensare che dei ragazzi accettino di scambiarsi messaggi su fogli di carta sembrava po’ anacronistico».

E invece… Grazie a una formazione sulla situazione delle carceri in Italia a partire dai rapporti delle associazioni di settore e a una serie di incontri con il direttore dell’Ipm, gli psicologi e gli educatori, che hanno anche fatto da postini, imbucando le lettere da un istituto all’altro, la corrispondenza è stata avviata e poi decollata. Nessuna delle missive era firmata ma forse proprio l’anonimato ha permesso ai ragazzi – dell’una e dell’altra parte – di aprirsi. «Per iniziare la conversazione abbiamo stimolato la riflessione degli studenti del liceo intorno a cinque domande: – spiega l’educatore Alberto Incarbone, impegnato nella logistica del progetto insieme al collega Cristiano Licata – chi sono, un ricordo bello, un mio progetto di vita fra dieci anni, un ricordo brutto e come sono uscito da una situazione complicata. Mano a mano che dall’Ipm rispondevano, la corrispondenza si infittiva. Lo scopo era far incontrare generazioni diverse, quelle dei reclusi e quella dei liberi giocando a trovare le “corrispondenze”…»

Che ci sono, e non sono neppure poche. «L’amore, la famiglia, la crescita, l’amicizia, la musica – elenca la professoressa Agata Arcidiacono, insegnante di italiano del Regina Elena – sono i temi che sono emersi più spesso. Tra coetanei è nato un vero scambio di esperienze di vita e di pareri, alcuni espressi a parole e altri usando disegni o condividendo testi di canzoni autografe. Alcuni detenuti hanno raccontato la nostalgia della mamma, altri – extracomunitari – hanno raccontato il terribile viaggio verso l’Italia. Molti ammettono l’errore e desiderano tornare alla normalità e i “nostri” ragazzi hanno mostrato comprensione e affinità, il che era proprio l’obiettivo del progetto: togliere le barriere sociali, economiche e fisiche e livellare gli svantaggi tra adolescenti di contesti diversi. Sono nate esperienze di spessore, in alcuni casi commuoventi».

Visto il buon esito dell’operazione, nonostante la fatica della procedura burocratica a garanzia della privacy dei ragazzi coinvolti in un progetto così delicato, gli attori coinvolti pensano a un bis per il prossimo anno. Magari includendo anche le classi quarte del liceo e – chissà – restituendo il valore di questa corrispondenza anche attraverso una pubblicazione ad hoc.

«È la dimostrazione che è possibile "fare" un carcere diverso, centrato sulle persone. Perché il carcere "si fa" - commenta ad Avvenire Girolamo Monaco, direttore di uno dei pochi Ipm italiani che oggi non soffre di sovraffollamento - e lo fanno le persone che dentro ci vivono dentro: operatori e detenuti. Per noi il carcere è l'impegno per costruire ambienti e percorsi umanizzati. E questo impegno non è dato solo dal rispetto dei regolamenti che applicano la Costituzione e le Leggi ma soprattutto dalla quotidiana fatica a costruire significati che rendono possibili i cambiamenti. Noi costruiamo questo modello di carcere».

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