venerdì 20 gennaio 2023
L’ebraista Corradini ha scritto un libro che può rappresentare un aiuto per gli insegnanti. «Lo sterminio è un tema che, con le giuste precauzioni, si può trattare anche con alunni così piccoli»
«La Shoah spiegata ai bimbi Lezioni già dalle elementari»
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Negli ultimi vent’anni, da quando, nel 2000, è stata istituita la Giornata della Memoria, il 27 gennaio, sono state davvero numerose le iniziative che hanno coinvolto le scuole, soprattutto le superiori. Difficilmente, però, la “didattica della memoria” ha riguardato la scuola primaria, soprattutto in considerazione della giovanissima età degli alunni in rapporto all’enormità dei fatti narrati: la Shoah. Persino lo Stato di Israele, abitato da moltissimi discendenti dei sei milioni di ebrei assassinati nei lager nazisti, non prevede lo studio sistematico dello sterminio prima dei quindici anni di età e allo Yad Vashem, il memoriale della Shoah di Gerusalemme, è vietato l’ingresso ai minori di 10 anni. Ciò, però, non significa che non si possa parlare di questa tragica pagina di storia anche alle scuole elementari, seppur con un linguaggio adatto all’età degli scolari. Una sfida che coinvolge in prima battuta gli insegnanti, che possono trovare un valido aiuto nel libro Tu sei memoria, scritto per le edizioni Erickson da Matteo Corradini, ebraista e studioso della Shoah, vincitore del premio Andersen 2018. Che in questa intervista spiega perché è una sfida possibile e come gli scolari possono, a loro volta, farsi Memoria.

La Shoah è una materia adatta all’età degli alunni della scuola primaria?

Sì e no. Se con il termine Shoah intendiamo il punto finale dello sterminio, Auschwitz per capire, allora dico subito che non è adatto ad alunni così giovani, anche quelli più grandicelli, di quarta e quinta, per i quali sono pensate le attività proposte nel libro. Se, invece, con questo termine indichiamo i fatti che avvengono tra il 1933, quando i nazisti prendono il potere in Germania e il 1945, quando la guerra finisce, allora c’è tutta una parte che si può raccontare, anche ad alunni di questa età. Perché Auschwitz è il terminale di un processo di costruzione dell’odio antisemita che dura anni e che, con un linguaggio comprensibile ai bambini, è possibile spiegare anche alla scuola primaria.

Come si devono porre i docenti rispetto a una tematica di tale portata?

Da insegnanti, cioè da adulti che capiscono le domande dei propri studenti e provano a dare delle risposte. Il libro cerca di venire incontro proprio a questo lavoro di ricerca delle risposte da dare. Ben sapendo che, come scriveva Elie Wiesel nel suo La notte: «Ogni domanda possiede una forza che la risposta non contiene più». Gli alunni non si innamorano degli insegnanti che sanno tutte le risposte, ma di quelli che sanno accendere domande. Un modo di procedere, tra l’altro, molto ebraico.

Sono preparati per questo?

Io ne incontro tanti e molto motivati, che vogliono formarsi proprio in vista della Giornata della Memoria. Magari non sono tutti così, ma moltissimi docenti sono davvero ben predisposti!

Abbiamo visto che è “possibile” parlare della Shoah alla scuola primaria, ma è anche “necessario”? Assolutamente sì. E lo è perché questa parte del nostro passato non è ancora passata del tutto e ha ancora qualcosa da dirci. Raccontare la Shoah è imprescindibile. Forse arriverà un momento in cui non sarà più così e io sarò disoccupato ma il mondo sarà un posto migliore. Ma quel momento non è ora, non è qui. È necessario parlare della Shoah per sincronizzare il presente con il passato e fare in modo che alcune parole del passato non siano più passato, perché sono ancora tanto forti nel presente.

Per esempio?

Il meccanismo del pregiudizio e del razzismo è ancora, purtroppo, ben radicato nella nostra società e gli studenti, anche quelli più piccoli, hanno occasione di sperimentare che cosa vuol dire essere discriminati.

Quali attività proporre in classe?

In Italia c’è ancora una scarsa conoscenza degli ebrei e, quindi, si può cominciare con attività semplici come preparare insieme i montini di Purim, oppure costruire una kippah di carta o, ancora, giocare con le lettere dell’alfabeto ebraico. In questo modo si può cominciare ad “assaggiare” una porzione dell’ebraismo e conoscere che cosa sono stati e sono gli ebrei. Non farlo equivale e non onorare la Shoah, perché non sapere nulla delle vittime significa dimenticarle.

Perché gli ebrei sono così poco conosciuti in Italia?

Perché di loro non si parla. Chi frequenta le parrocchie li incontra a catechismo e poi a scuola con la Seconda guerra mondiale. Ma in mezzo ci sono duemila anni di storia ebraica, che nessuno conosce. È come se gli ebrei fossero stati ibernati al tempo di Gesù e ritirati fuori nel 1938 con le leggi razziali. C’è persino chi pensa che siano stranieri. E, invece, gli ebrei siamo noi, sono i nostri vicini di casa. Gli ebrei sono un pezzo di storia d’Italia.

Perché a scuola non se ne parla come sarebbe necessario?

Le questioni che toccano la scuola sono talmente tante e complesse che si dovrebbe stare in classe diciotto ore al giorno. E, comunque, la scuola è l’unica agenzia educativa che si occupa di questi argomenti. Di antisemitismo si deve parlare a scuola ma anche, per esempio, nelle società sportive, perché è anche negli stadi che esplode con manifestazioni violente. Dalla scuola può partire un percorso di maturazione che, però, ha bisogno di tempi lunghi e non si esaurisce in classe. Servono progetti di ampio respiro, a lungo raggio. E qui entra in gioco la responsabilità della politica che, invece, vive e ragiona a corto raggio. Per il tempo di una legislatura. Ma il senso civico di una generazione ha tempi di maturazione più lunghi.


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