martedì 26 giugno 2018
C’è un video sul web. Una spiaggia, un gruppo di donne fa aquagym. All’orizzonte, lontana, c’è la sagoma di una nave. È la Alexander Maersk, cargo danese con 113 migranti a bordo
La sagoma della nave e i bagnanti che ballano
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C’è un video sul web. Una spiaggia, nel sole trionfante dei giorni del solstizio di giugno. Il mare è calmo, si indovina appena una brezza che muove onde gentili. Un altoparlante diffonde una canzonetta sguaiata ad altissimo volume e, al ritmo elementare, un gruppo di donne fa aquagym, ginnastica in acqua. Insieme alzano le braccia, avanzano, indietreggiano un po’ goffamente: si divertono e assaporano questa giovane estate. L’autore del video, Roberto Brumat, allarga la ripresa al resto della spiaggia, dove la gente si rilassa al sole. Nel cielo neanche una nuvola, il mare piatto. La canzoncina non smette di ripetere la stessa frase banale.

All’orizzonte, lontana, c’è la sagoma di una nave. È un mercantile, immobile. È la Alexander Maersk, cargo danese con 113 migranti a bordo salvati dal Mediterraneo. Da tre giorni attende di entrare nel porto di Pozzallo. Nella cittadina la macchina dei soccorsi è pronta, ma non arriva il via libera dal ministero (almeno fino a ieri sera). Come la Lifeline nelle acque di Malta, anche questa nave è prigioniera, col suo carico di uomini e bambini.

Stretti sul ponte, i migranti aspettano. L’Italia deve sembrare così vicina, e insieme lontana. Perché ci sono due Mediterranei, in quello stesso video girato sulle rive di Pozzallo. Uno è il nostro mare, il mare placido e benigno delle vacanze, quello che si guarda dalla sdraio. Il mare caldo e pigro dei tormentoni che suonano e risuonano, dei castelli di sabbia e dei gelati. Un mare innocuo come un giocattolo, in cui si balla, ridendo. Ma esiste anche un secondo Mediterraneo (laggiù, a tre miglia, attorno alla nave, a guardar bene il blu è molto più scuro). Laggiù comincia il mare dalle acque profonde, il mare aperto in cui occorre sapersi orientare per non perdersi, e dove il vento alza rapidamente onde ostili. Non è il mare domestico delle spiagge, ma il mare vero, il mare grande. Buio, di notte, come l’inchiostro, minaccioso quando cambia il tempo. È il mare su cui i migranti salvati dal cargo danese erano alla deriva e le madri si tenevano stretti i bambini, e i ragazzini partiti da soli cercavano di farsi coraggio e di mostrarsi uomini. Quello là fuori è il mare che può essere feroce, che inghiotte le vite e non dà scampo.

E così in quel video i due diversi mari si trovano uno accanto all’altro. Non c’è nulla di male nel ballare in acqua, eppure qualcosa stride se, sullo sfondo, c’è una nave carica di uomini respinti, una nave che non può attraccare. Se ne sta lì immobile come una mendicante, sul confine del 'suo' mare, quello in cui si muore. In spiaggia fanno aquagym in una musica che assorda, spensierati. Come chi non ha il problema di trovare un tetto o mangiare, e nemmeno riesce a immaginarsi cosa deve essere il mondo, visto da una nave che nessuno vuole. Quell’immagine della spiaggia con la gente che balla e il cargo dei migranti fermo all’orizzonte, in fondo è una metafora di questa Europa che chiude i porti e alza i muri, e pensa a sé, e ad altro; e per questo fa male.

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