venerdì 29 novembre 2013
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​Gran consulto al Quirinale su un tema che al presidente Napolitano sta a cuore, le riforme costituzionali, tanto che ha condizionato a esse il suo consenso alla rielezione. Ieri al Colle sono saliti il ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello (Ncd) e quello per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini (Pd). Con l’obiettivo di fare il punto sulla situazione delle riforme dopo il passaggio all’opposizione del gruppo di Forza Italia.

I primi segnali che vengono da quelle parti non sono positivi. Tuttavia, nel corso del vertice Quagliariello ha invitato ad aspettare un po’ di tempo. «Sono vent’anni – ha spiegato – che Berlusconi chiede le riforme. Speriamo che l’opposizione di Forza Italia sia un’opposizione al governo e non un’opposizione di sistema». Del resto, anche Franceschini ha fatto presente al capo dello Stato che per avere maggiore chiarezza, specie sulla legge elettorale, bisognerà aspettare le primarie del Pd.

Se Forza Italia si mettesse di traverso – si è ragionato al Colle – il primo impatto negativo si avrebbe sulla modifica temporanea dell’articolo 138, che deve essere ancora definita, per la quale servono i 2/3 del Parlamento. Senza l’apporto di Forza Italia, quella legge costituzionale finirebbe in un binario morto. Perché era nata con l’intenzione di velocizzare il processo di riforme, ma se non raggiunge il quorum, deve essere sottoposta a referendum. E, allora, addio alla rapidità.

In questo caso, ha spiegato Quagliariello, «non rinunceremmo certo alle riforme». L’idea che circola nelle stanza del governo è allora quella di spacchettare la proposta di riforma in vari capitoli da distribuire tra Camera e Senato, in modo da accelerare un po’ i tempi. Di sicuro un capitolo potrà riguardare la fine del bicameralismo, un altro la riduzione dei parlamentari, e così via.

Difficile pensare, con la fine delle larghissime intese, alla possibilità di trovare un accordo sulla forma di governo, essendo il Parlamento (ma anche i partiti al loro interno) diviso in parti quasi uguali tra fautori del presidenzialismo e sostenitori di forme di premierato rafforzato.

Da un punto di vista dei numeri il discorso sulla legge elettorale (per la quale basta la maggioranza semplice) dovrebbe esser più facile, purché si trovi un accordo nella nuova maggioranza. Ieri, al Senato, c’è stato un nuovo nulla di fatto. Tant’è che il ministro Quagliariello si è spinto nuovamente a ricordare che se lo stallo perdurerà, «il governo cercherà altre strade». Non certo con un decreto legge –  come pure temeva il capogruppo di Fi Brunetta – che è stato tassativamente escluso sia da Franceschini che da Quagliariello. Ma sicuramente con un disegno di legge governativo.

Ma, dicono a Palazzo Chigi, questo ddl dovrà essere qualcosa di più della correzione del "Porcellum" secondo le probabili indicazioni della Corte Costituzionale. Letta, ai suoi collaboratori, ha ripetuto che il suggello del governo sul cosiddetto "Porcellinum" non ha proprio intenzione di metterlo. «Non mi farò massacrare da Renzi o da nessun altro su questo», ha detto. E, in attesa della Consulta, delle primarie del Pd, di capire cosa faranno i berlusconiani, la parola d’ordine del premier è: troviamo l’accordo di massima nel Pd, con Alfano e con gli altri partner della maggioranza. Solo a quel punto il governo «ci metterà la faccia». Certo, come spiegano a Palazzo Chigi, l’eventuale disegno di legge del governo sulla legge elettorale «sarà inevitabilmente a Costituzione invariata». Un modo per dire che non si potrà utilizzare l’alibi di attendere la grande riforma costituzionale per pensionare il "Porcellum".

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