domenica 28 giugno 2020
Gommone lasciato senza aiuti: 6 morti. I libici riportano in prigione anche un bimbo partorito in mare: risponde la Marina militare
La fregata della Marina italiana “De La Penne”

La fregata della Marina italiana “De La Penne” - .

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Gentile Direttore,
nell’articolo dal titolo «Migranti. Bambino nasce durante naufragio. Verrà portato nelle prigioni libiche» di Nello Scavo e pubblicato venerdì sera sul vostro sito Avvenire.it si fa esplicito riferimento ad «una fregata antisommergibile della Marina Militare italiana » che «avrebbe potuto raggiungere il barcone » in difficoltà «in meno di tre ore dal Sos lanciato dalla Guardia Costiera da Roma». Questo secondo «fonti di Avvenire vicino ai vertici militari». Quanto riportato ci spinge a ricordare come le attività di Search and Rescue (Sar) vengano condotte secondo procedure internazionali e nazionali che prevedono un coordinamento delle azioni di soccorso da parte di un elemento organizzativo denominato Mrcc (Maritime rescue coordination center) e l’intervento di qualsiasi natante in grado di portare i soccorsi. Anche il caso in oggetto è stato coordinato dai competenti Mrccs in accordo alle procedure in vigore. L’unità della Marina Militare, impegnata nell’operazione Mare Sicuro, si trovava a grande distanza dalla posizione dell’imbarcazione in difficoltà e non è stata coinvolta nello specifico caso dal Mrcc. Occorre infine evidenziare come i mezzi della Marina Militare operino nel pieno rispetto delle normative internazionali e delle leggi nazionali e, a seconda della situazione in essere, possono essere coinvolte nelle attività di soccorso della vita umana in mare, sia per i conseguenti obblighi giuridici in accordo al diritto internazionale e nazionale ma, direi anche, per un dovere morale proprio del Dna di ogni marinaio, come peraltro dimostrato più volte in passato ed anche oggigiorno. Riteniamo importante ricordarlo per gli uomini e donne della Marina che operano quotidianamente per il bene del nostro Paese. Colgo l’occasione per inviarle i migliori saluti.

Antonello de Renzis Sonnino

Capitano di Vascello Capo Ufficio Pubblica Informazione Marina Militare Italiana

Gentile capitano, ringraziando il direttore che mi invita a darle risposta anche a suo nome, comincio esprimendole la mia gratitudine per avere confermato tutto ciò che abbiamo scritto e anche per avere ripreso nella sua lettera le nostre fonti, senza mettere in dubbio quanto ci hanno riferito. La sua lettera, infatti, non nega e anzi conferma la presenza di una nave militare italiana, tuttavia mancando di precisarne il nome e senza spiegare quale fosse la «grande distanza» tra la stessa e il barcone dei profughi e migranti. In zona, per la verità, c’erano anche mezzi navali militari di altri Paesi, come abbiamo scritto, e oggi sappiamo per certo che nell’area incrociava una fregata francese, forse più vicina ancora delle 80 miglie di distanza (a quanto ci risulta) del vascello militare italiano. Nel messaggio inviato via Immarsat dalla Guardia costiera italiana (ore 16,39) e da noi pubblicato integralmente, è chiara la richiesta di aiuto «a tutte le navi», invitate a «deviare la loro rotta» per individuare e soccorrere il barcone indicato in «distress», dunque in imminente naufragio. Le norme internazionali che lei ci ricorda sono quelle che hanno permesso alla Marina Militare italiana di essere un esempio senza pari, salvando fino al 2017 decine di migliaia di persone come nessun altro aveva mai fatto nella storia, non di rado percorrendo distanze ben superiori alle 80 miglia (circa 2,5 ore di navigazione contro le 7 ore impiegate dai libici per raggiungere il gommone) che separavano i naufraghi dalla salvezza e da un porto sicuro di sbarco che, come sa, secondo le autorità internazionali non può essere la Libia.

Nello Scavo

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