domenica 27 marzo 2016
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PAVIA Ahmed Coulibaly è ivoriano, ha ventitré anni e una vita da ricostruire partendo da zero. Cinque anni fa, il 3 aprile 2011, pochi minuti di fuoco incrociato nella sua abitazione ad Abidjan gli hanno portato via per sempre tutta la sua famiglia: mamma (all’ottavo mese di gravidanza, con due gemellini in grembo), papà e sorellina sono infatti stati uccisi dai militari dell’attuale leader politico Ouattara. I genitori avevano votato per il rivale Gbagbo, una scelta pagata con la vita. Ancora oggi, a distanza di cinque anni, Ahmed si sveglia quasi tutte le notti e risente l’eco di quelle grida strazianti. La violenza di quel 3 aprile ha distrutto tutto. E Ahmed si è ritrovato da solo a difendersi da una vita improvvisamente diventata ostile. Una fuga dalla paura e dal dolore che lo ha portato, il 4 agosto 2015, a sbarcare a Messina a bordo di uno di quei barconi ormai tristemente noti. Ahmed non sapeva che quel mezzo precario era diretto in Italia. Anzi, nemmeno voleva salire perché non era capace di nuotare e aveva paura dell’acqua. Ma in Libia, dove era giunto a maggio del 2012 dopo un anno di permanenza in Niger, qualcuno lo aveva costretto a decidere in tal senso, dopo avergli prelevato i soldi che custodiva gelosamente in tasca e guadagnati facendo piccoli lavoretti per sopravvivere. E soprattutto dopo averlo pestato a sangue con bastoni di legno, lasciandogli cicatrici inguaribili. In seguito a quel pestaggio infatti Ahmed ha perso un occhio e ha rischiato di perdere anche l’altro. Nessuno lo ha soccorso, nessuno lo ha curato. In queste condizioni Ahmed ha affrontato tre giorni sul barcone senza mangiare né bere, il 4 agosto è arrivato a Messina e destinato subito a Pavia grazie alla Caritas, dove è stato accolto dalla comunità parrocchiale della Sacra Famiglia. Insieme a lui un altro ivoriano e un maliano, che si sono aggiunti ai due profughi che già erano ospitati da un anno e mezzo. A Pavia per Ahmed è iniziata una seconda vita. In poco tempo ha saputo farsi amare da tutti. Parla già bene l’italiano, studia con profitto per accedere alla terza media. Alla Sacra Famiglia il parroco don Vincenzo Migliavacca gli affida alcuni lavoretti e ogni giorno va a casa di una parrocchiana di novantadue anni che fatica a deambulare e la accompagna in chiesa. Poi va in moschea. «Perché Dio è uno solo », commenta. Nonostante tutto non ha perso la fede. Ahmed è stato operato agli occhi al San Matteo di Pavia: uno è salvo e al posto di quello compromesso ora ha una protesi estetica che ha almeno cancellato i segni fisici di quelle botte ricevute. «In Costa d’Avorio non ho più nulla. Il mio futuro è qua, la mia famiglia è la comunità parrocchiale», dice. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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