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Per fare famiglia c’è bisogno di famiglia. Secondo la Fondazione Magna Grecia, le motivazioni della crisi demografica «non sono da ricercare soltanto nella difficile fase economica che stiamo attraversando», ma anche in fattori culturali, sociali e relazionali più complessi. Numerosissimi ragazzi e ragazze, pur desiderando una genitorialità piena e consapevole (per il 59,4% è una tappa fondamentale nella propria vita di coppia), decidono di fare figli solo nel caso in cui possono contare sull’aiuto dei genitori (per il 42% la famiglia è la parte più soddisfacente della propria esistenza). È il cuore dalla ricerca “La propensione alla genitorialità nei giovani e il ricambio generazionale”, presentata ieri, a Roma, nella Sala polifunzionale della Presidenza del Consiglio, alla presenza della ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella.
Le ragioni dietro al rinvio del primo figlio
Un’indagine che la Fondazione Magna Grecia ha portato avanti grazie alla direzione scientifica di Emiliana Mangone e Giuseppe Masullo dell’Università degli Studi di Salerno. I dati per la definizione del campione rappresentativo sono stati estrapolati dalle rilevazioni Istat della popolazione italiana. Il numero di casi è stato pari a 1.300 (con un’affidabilità del 99% e un margine di errore del 3,5%). È stata presa in considerazione la fascia di età compresa tra i 18 e i 35 anni.
Sulla scia dei risultati, la ministra Roccella ha dichiarato che il governo ha intenzione di porre rimedio alla smagliatura delle reti parentali. Un fenomeno che ha descritto come una delle cause del calo demografico.
«Stanzieremo dei fondi per moltiplicare i Centri per la famiglia, che già esistono, ma sono molto pochi e sono concentrati solo in alcune Regioni – ha annunciato –. Vorremmo che diventassero una sorta di hub con compiti specifici per creare reti di prossimità. Ci sono molti servizi già attivi che le persone non conoscono o a cui non sanno come accedere». La ministra ha poi esortato a continuare a indagare sulle cause della correlazione tra sviluppo economico e denatalità, e ha invitato ad abbandonare le narrazioni che descrivono i figli solo come un costo.

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È questa la strada indicata da Roccella sulla base della ricerca, dalla quale emergono anche altre cause della crisi demografica. Il progetto di mettere al mondo figli viene spesso accantonato per il timore di compromettere il proprio sviluppo individuale. I giovani non sono disposti a rinunciare alla ricerca della solidità economica (49,5%), di un lavoro soddisfacente (33,4%), di una relazione di coppia stabile (38,4%), del tempo a disposizione (33,6%), e della realizzazione delle passioni personali (43,6%). Rispetto al passato, inoltre, una famiglia senza figli viene considerata ugualmente una famiglia. Soprattutto dalle donne, che vorrebbero facilitare le adozioni (41,5%), e che prendono le distanze dalla necessità di diventare genitrici per corrispondere al problema della decrescita demografica (4%), aspetto al contrario più avvertito negli uomini (9,1%).
Per i giovani, dunque, se la denatalità è un problema sociale, fare figli è una questione totalmente privata, gestita prevalentemente all’interno della propria famiglia di origine e condizionata al raggiungimento di uno stato di realizzazione lavorativa ed economica. In tal senso, scompare dunque l’elemento della responsabilità collettiva di contribuire a nutrire la popolazione. Le giovani donne, soprattutto, temono di più di “pagarla” in termini lavorativi.
La necessità di soluzioni nuove
«La questione va affrontata nella sua totalità, se si vogliono trovare soluzioni», ha spiegato Nino Foti, presidente della Fondazione Magna Grecia, secondo cui il tema cruciale è quello di lavorare anche sulle conseguenze: «La denatalità mette sotto pressione il patto sociale tra generazioni, per questo è urgente studiare come gestirne gli effetti – ha aggiunto -. Il tema della longevità è centrale: vanno pensati nuovi modelli di sviluppo territoriale ed economico, anche per le aree interne. Siamo il Paese “più anziano” d’Europa, e fra i primi al mondo per longevità: se non impariamo a guardare a questo anche in chiave di opportunità perdiamo un’occasione fondamentale di crescita».
In questa prospettiva, la Fondazione ha presentato un nuovo “Osservatorio permanente su Denatalità, sostenibilità intergenerazionale e longevità”, attivo già da ieri. Quattro le aree di approfondimento che verranno sviluppate. In primis, quella che riguarda la silver age economy. L’obiettivo è considerare l’invecchiamento non solo come perdita, ma anche come leva trasformativa per ripensare la cittadinanza, il lavoro, il paesaggio e la partecipazione sociale. In secondo luogo, verranno pensati nuovi modelli di welfare che superino il “modello mediterraneo”, ridistribuendo le responsabilità di cura e protezione sociale anche al di fuori del nucleo familiare, per alleggerire il carico sulle donne. La terza area approfondirà invece la necessità di campagne di sensibilizzazione per cambiare la percezione culturale della genitorialità da onere a opportunità. Infine, verranno promossi interventi che valorizzino il ruolo dei nonni e delle reti di prossimità, anche individuando politiche e interventi inediti ad hoc che facilitino l’alleanza intergenerazionale.