mercoledì 27 agosto 2014
La della fondazione di assistenza oncologica gratuita: poco credibili i dati del ministero sul ruolo del Terzo settore. I nostri assistiti non sono conteggiati.
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«Tra il 17 e il 22 luglio scorso sono stati presentati in Parlamento due documenti rilevanti: un’indagine conoscitiva sullo stato della sanità pubblica e la relazione sull’applicazione della legge 38/2010 sulle cure palliative. Cosa accomuna questi documenti? L’assenza totale del non profit nel primo e la presenza solo marginale dello stesso nel secondo. E questa è una lacuna gravissima». È appassionata e accorata la protesta di Raffaella Pannuti, presidente nazionale della Fondazione Ant, il più grande ospedale gratuito a domicilio in Italia nel prestare assistenza ai malati di tumore. In una lettera aperta al presidente del Consiglio Matteo Renzi, Ant Italia rivendica il ruolo fondamentale delle associazioni non profit che agiscono per fornire assistenza e conforto a migliaia di malati oncologici nelle loro case, supplendo alle carenze del Servizio sanitario nazionale (Ssn).«Se mettiamo a confronto i dati contenuti nella Relazione sul numero degli assistiti terminali di cancro a domicilio, con la sola attività svolta da Ant nello stesso periodo – spiega Pannuti –, risultano del tutto evidenti sia il ruolo del Terzo Settore sia l’ancora incerta attendibilità del sistema informativo del ministero». Le cifre sono decisamente discordanti e rivelano una quota ragguardevole di persone che non risultano censite nel documento ufficiale come chiarisce la presidente Ant: «Il dato generale fornito è stato di poco più di 34mila assistiti nel 2012. Ant, nello stesso anno, ne ha sostenuti quasi 10mila: il 30%. Ebbene, in Emilia Romagna, secondo il ministero, sono 2.903. Peccato che Ant ne abbia assistiti oltre 3.150. In Toscana si legge che sono state assistite 48 persone. Ma noi ne abbiamo assistite 599! Dove sono finiti gli altri?».Il cavillo risiede nel fatto che moltissimi assistiti risultano senza convenzione, trasformandosi a tutti gli effetti in "pazienti fantasma", così come diventano trasparenti anche le strutture che se ne fanno carico e i volontari. Su questo punto Pannuti è perentoria: «Purtroppo non c’è presa d’atto di quanto la società civile, il non profit, ha fatto finora, come se quello che viene da queste realtà fosse marginale e non invece un tassello fondamentale della programmazione sanitaria». In tempo di spending review è importante focalizzare anche il problema dei costi. Grazie all’intervento delle associazioni di assistenza domiciliare è possibile infatti contenere significativamente le spese. Secondo i dati forniti proprio da Ant, la presa in carico di un paziente da parte della fondazione, per una media di 132 giorni, comporta un costo di circa 2.090 euro esclusi i farmaci, che restano a carico del Ssn. Tenendo conto che il costo di una giornata di degenza in una struttura residenziale dedicata alle cure palliative è di circa 240 euro e quella di una giornata di ricovero in un ospedale pubblico è di circa 780 euro, il risparmio che ne deriva risulta evidente. Di qui la necessità di mettere in campo tutte le forze per una gestione dei servizi economica ma qualitativamente elevata, come propone la Pannuti: «L’esperienza dimostra che è possibile produrre un modello di eccellenza replicabile su larga scala, con una qualità molto alta e a costi contenuti, così da poter permettere di reinvestire i risparmi in altri settori della sanità». Per arrivare a questo risultato è necessario un coordinamento più efficace tra Stato e società civile, evitando la noncuranza delle istituzioni da un lato e un agire troppo in sordina dall’altro.«Mi permetto di alzare i toni anche per le altre associazioni più piccole, che operano in silenzio, ogni giorno, per fornire la migliore assistenza possibile ai malati – conclude la presidente Ant –. Chiediamo un tavolo di lavoro per valorizzare chi realizza progetti efficaci e chiediamo a Renzi, che si dichiara attento verso il Terzo settore, di sollecitare i suoi ministri a fare altrettanto. Non lasciamo che le relazioni parlamentari ci ignorino».
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