sabato 24 settembre 2022
La novità è stata l’arrivo dei leader su TikTok, con l’obiettivo di avvicinare gli elettori più giovani
Si chiude la campagna del «sì, però» tra social e contraddizioni

Fotogramma

COMMENTA E CONDIVIDI

Nella prima Repubblica avevamo i governi balneari, quelli che duravano il tempo di un’estate per tirare a campare (che era pur sempre meglio di tirare le cuoia, secondo Giulio Andreotti). Nella seconda Repubblica abbiamo avuto... la seconda Repubblica, spiegare sarebbe troppo lungo: per saperne di più rivolgersi alle procure di Milano, Roma, Firenze, Napoli, Catanzaro, Palermo. Oppure citofonare ai signori Rossi, Turigliatto, Scilipoti, Razzi. Nella cosiddetta (o sedicente?) terza Repubblica, abbiamo già avuto una crisi balneare di governo, quella del Conte 1. Poi il Conte 2, stesso presidente del Consiglio e stesso partito di maggioranza per due coalizioni agli antipodi. E, negli ultimi due mesi, la prima campagna elettorale estiva, più che balneare. Perché stavolta, per fortuna, scene in stile Papeete ci sono state risparmiate. È stata una campagna molto social, con la novità di TikTok, utilizzato dai leader per avvicinare gli elettori più giovani.

Oggi, dunque, si vota. «Finalmente», penseranno in molti, al tempo stesso desiderosi di esprimere il proprio voto e un po’ annoiati dal fiume di parole, slogan, promesse, liti e polemiche che si sono visti precipitare addosso durante la torrida estate appena tramontata. Altri, più distratti o meno interessati, penseranno invece: «Già si vota?», perché non hanno ancora deciso quale schieramento scegliere. Infine ci sono quelli che non andranno al seggio elettorale, perché «tanto sono tutti uguali». Obbligatoria la citazione di Nanni Moretti: «Ma che siamo in un film di Alberto Sordi?». Forse sì, perché i film con Sordi hanno spesso fotografato, magari amaramente, il famoso Paese reale. Alle ultime politiche, quattro anni fa, non votò il 27 per cento degli aventi diritto. Anche oggi l’astensionismo sarà una variabile importante, se non decisiva: ci dirà quanto, nel complesso, sarà stata convincente l’inedita campagna elettorale agostana e settembrina.

In attesa di sapere come andrà, cerchiamo di ripercorrerla per immagini, frasi, contraddizioni. Procediamo per flash. Giorgia Meloni che impara come si fanno le orecchiette in Puglia e i tortellini nella "rossa" Bologna. Ci sta, in campagna elettorale. Enrico Letta che per dimostrarsi attento all’ambiente gira l’Italia con il pulmino elettrico e resta a piedi per mancanza di autonomia (ma lui nega). Ci sta. Salvini che abbraccia un ulivo secolare su TikTok per dimostrare quanto tiene in conto «cultura, tradizione e profumo che sono il bello dell’Umbria e dell’Italia». Vabbe’, dai, ci sta.

Luigi Di Maio in versione Dirty dancing sollevato in aria da una squadra di camerieri in una trattoria napoletana. Acrobatico, ma ci sta. Giuseppe Conte che percorre tutto il Meridione e – tra una mozzarella a Napoli, un piatto di pasta con gli operai della Fca di Melfi, una stigghiola a Palermo – ricorda che senza il M5s non ci sarebbe il Reddito di cittadinanza. Ci sta, tranne quando invita Renzi ad andare in Sicilia «senza scorta» a criticare il Reddito.

Carlo Calenda-Clint Eastwood, che quando il segretario di Rifondazione comunista Maurizio Acerbo dice che «andrebbe menato per strada» per le sue proposte, gli dà l’indirizzo della sede di Azione: «Corso Vittorio Emanuele II, 21. Chiama per appuntamento». Ci..., no, state buoni. Ancora Calenda, che non invitato al confronto sul web Meloni-Letta, s’inventa il controcanto in differita via social. Ci può stare. Matteo Renzi che indossa il camice del farmacista e definisce il Pd «il generico del Movimento 5 stelle». Ancora Renzi che avvisa Meloni: «Occhio Giorgia, io ogni due anni faccio cadere un governo». Probabilmente le due migliori battute della campagna, ci stanno.

Silvio Berlusconi che sul palco di piazza del Popolo rispolvera tutto il repertorio della sua "discesa in campo" e rammenta a chi l’avesse dimenticato che la missione era «evitare la presa del potere da parte di una sinistra guidata dall’ex Partito comunista». Per un po’ sembra di essere tornati al 1994 e lui, più che il Cav., sembra il Doc di Ritorno al futuro. Ci sta, ci stava, ci starà.
Nicola Fratoianni sul palco con la bandiera della pace, «una parola che è scomparsa dall’agenda pubblica». Ci deve stare, la pace è il bene più prezioso, anche se purtroppo tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. D’Azov. Emma Bonino che conclude la campagna elettorale attraversando Roma su un bus inglese a due piani. Ci sta, se non altro ricorda l'hop on-hop off delle alleanze di Letta nella prima fase. Infine De Magistris che si fa insignire da Melenchon in una periferia di Roma, al Quadraro, del bollino della «vera sinistra». Ci sta, anche se Conte non ci sta.

Quanto alle parole, è stata la campagna elettorale del sì, però. Giorgia Meloni: le riforme istituzionali vanno condivise, serve una commissione bicamerale; sì, però se prendo abbastanza seggi in Parlamento, il presidenzialismo me lo faccio da sola. Enrico Letta: se vince il centrodestra è in pericolo la democrazia, anzi no; sì, però è in pericolo la Costituzione. Carlo Calenda e Matteo Renzi: è vero, Draghi ha detto che non rifarebbe il presidente del Consiglio; sì, però se glielo chiedesse Mattarella... Giuseppe Conte: il prestigio di Draghi non è in discussione; sì, però con il prestigio non si va da nessuna parte.
Silvio Berlusconi: Putin mi ha molto deluso, è sua la responsabilità dell’aggressione all’Ucraina; sì, però è stato spinto dalla popolazione russa e dai suoi ministri; sì, però sono stato frainteso. Matteo Salvini: la Lega è europeista e atlantista, allineata alle posizioni dei partner Ue; sì, però le sanzioni alla Russia sono sbagliate. Il verde Angelo Bonelli: Conte ha guidato due governi e per l’ambiente non ha fatto niente, solo provvedimenti contraddittori e sbagliati; sì, però che errore è stato rompere l’alleanza con i 5 stelle.
Così il sipario si è chiuso, tra applausi e fischi. Questa notte tornerà ad aprirsi, con gli stessi protagonisti. La trama è tutta da scrivere, speriamo in ogni caso che ci sia un lieto fine per l’Italia. Sì, però... silenzio, si vota.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: