giovedì 30 settembre 2010
Nel santuario sull’Aspromonte polizia in festa. Il sottosegretario all’Interno Mantovano: «San Michele libera dal male. È proprietà esclusiva dei buoni. La sua profanazione, come quella di Polsi, deve finire». Il vescovo Morosini: qui deve trionfare la vita.
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«Oh! San Michele Arcangelo, nostro celeste Patrono, che hai vinto gli spiriti ribelli - nemici della Verità e della Giustizia - rendi forti e generosi, nelle reverenza e nell’adesione alla Legge del Signore, quanti la Patria ha chiamato ad assicurare tra i suoi cittadini concordia, onestà e pace affinché - nel rispetto di ogni legge - sia alimentato lo spirito di umana fraternità». È visibilmente emozionata la giovane poliziotta mentre legge al microfono, nella piccola chiesa del santuario di Polsi in Aspromonte, la "preghiera del poliziotto". Già, oggi è un giorno molto particolare. Unico. Mai vissuto. Per loro, uomini in divisa, ma soprattutto per la Calabria onesta, che vuole cambiare e, a fatica, sta cambiando. Oggi, 29 settembre 2010, san Michele Arcangelo, patrono della Polizia, nel reggino si festeggia a Polsi, tra i luoghi sacri più cari ai calabresi ma, purtroppo, sfregiato dagli incontri dei boss della ’ndrangheta che nei riti di iniziazione versano il sangue proprio sull’immagine dell’Arcangelo che poi viene bruciata. Patrono, vero, della Polizia. Patrono, usurpato, delle ’ndrine. Un contrasto di valori insanabile. Ma arduo da sradicare. Così quest’anno il questore di Reggio Calabria, Carmelo Casabona ha proposto di festeggiare San Michele proprio a Polsi. Proposta subito accolta dal vescovo di Locri-Gerace, Giuseppe Fiorini Morosini. Un segno forte in una regione dove i segni hanno particolare rilevanza. Nel male e nel bene.Così si alza la preghiera del poliziotto là dove i mafiosi recitavano la loro falsa preghiera a San Michele. Sono tante le divise, e questa volta in Aspromonte non si cercano latitanti. Tante le bandiere con le "Fiamme oro". C’è il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, il vicecapo della Polizia, Nicola Izzo, il prefetto di Reggio Calabria, Luigi Varratta, il capo della Squadra Mobile, Renato Cortese, il direttore dell’Agenzia per i beni confiscati, Mario Morcone, e decine di sindaci con la fascia tricolore.Arriviamo al santuario, incastonato tra monti, boschi, rocce e acque scroscianti, per una delle impervie stradine, che lo collegano ai due mari. Corrono le nubi lasciando il campo a un caldo sole settembrino. Forse anche questo un segno... Il vescovo Morosini fa gli onori di casa. «Speriamo che questi segni siano percepiti con chiarezza, nel loro vero significato. Polsi non è della ’ndrangheta». «È una giornata fortemente simbolica - commenta il procuratore di Palmi, Giuseppe Creazzo -. Ma ora serve continuità. Che non resti un episodio pur importante». É proprio questo il senso dell’iniziativa, nelle parole del questore.  «Vogliamo fare paura alla ’ndrangheta. Perché capisca che è l’inizio del suo declino culturale. È, infatti, la cultura che deve cambiare in Calabria. Non basta la nostra azione repressiva». Parole chiare. Anche su san Michele. «È il guardiano della giustizia, non ha niente a che fare con la mafia!». E Mantovano insiste: «San Michele libera dal male. É proprietà esclusiva dei buoni. La sua profanazione, quella di Polsi, devono finire, così come deve finire la profanazione della Calabria da parte della ’ndrangheta».É il momento della Messa nella chiesa strapiena. Ci sono anche due scolaresche di Locri e San Luca. La prima lettura dall’Apocalisse, parla di "Michele e i suoi angeli che combattono contro il drago". La "lotta tra il bene e il male", sottolinea Morosini, ricordando come Michele sia «il portabandiera di coloro che restano fedeli al Signore». Dunque la scelta come patrono della Polizia si basa sui «valori del primato del bene, della fermezza nel perseguirlo, della lealtà nei confronti delle istituzioni». «Una verità - aggiunge il vescovo - totalmente e radicalmente contraria a chi giura su questa immagine nei riti di iniziazione di alcune associazioni criminali». Un «uso distorto e vergognoso della religione, dal quale vogliamo si allontanino i nostri giovani». Il vescovo alza il tono della voce: «Polsi è il santuario della vita! Questa festa è un sostegno alla nostra Chiesa che cerca di restituire l’immagine vera del santuario che è stata umiliata e calpestata». Messaggio chiaro ma non di chiusura. Neanche per i mafiosi. «Che in questo santuario non avvengano raduni illeciti o spartizioni di poteri criminali, ci interessa e come! Solo che non bloccherò mai l’attività religiosa che qui si svolge per paura che qui avvengano tali incontri». E torna allora a chiamare «fratelli anche chi si è macchiato di un grave delitto», invitandoli «alla conversione». Ma «non data a buon prezzo, ma che abbia alle spalle la certezza della pena da espiare e la volontà di riparare il male fatto». Infine un messaggio ai giovani «a non imboccare la strada del male, del facile successo, che poi fa cadere nel precipizio. Non c’è solo la giustizia di Dio ma anche quella dell’uomo. E alla fine resta solo il carcere». Si chiude con un altro simbolo. Sulla parete delle chiesa viene scoperta un’immagine di San Michele, dono della Polizia a Polsi che vuole davvero voltare pagine.
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