martedì 5 settembre 2023
Arrivi: superata quota114mila. Nel sistema dell’ospitalità le presenze sono cresciute in un anno di 40mila unità. E cambiano le rotte di chi fugge da miseria, siccità e guerre
Arrivo e registrazione a fine agosto a Torino, nel centro di primissima accoglienza di via Treves, di 60 migranti provenienti da Lampedusa

Arrivo e registrazione a fine agosto a Torino, nel centro di primissima accoglienza di via Treves, di 60 migranti provenienti da Lampedusa - Ansa

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Non sono solo i numeri (a sei cifre) a preoccupare. Sono le traiettorie percorse dai migranti, certificate ieri anche dall’Europa, e ancor di più la mancanza di strutture disponibili nell’immediato, a dare la misura di un’emergenza strutturale.

Nel giorno in cui si supera quota 114mila arrivi, secondo il cruscotto del Viminale, arrivando a sfiorare in poco più di otto mesi il doppio degli sbarchi avvenuti in tutto il 2022, tocca a Frontex ribadire che il fenomeno non sarà transitorio. Secondo l’agenzia europea, nel biennio 2023-2024, «è probabile» che le rotte del Mediterraneo orientale e del Mediterraneo centrale «vedranno una maggiore attività migratoria e una proporzione più elevata dei flussi migratori complessivi verso le frontiere esterne dell’Ue».

Sotto la lente di Bruxelles, c’è «l'uso crescente dei corridoi dalla Turchia, dal Libano e dalla Siria verso il Mediterraneo centrale, che segnerà un'ulteriore sfumatura tra le rotte del Mediterraneo orientale e centrale: questo fenomeno sarà esacerbato dall'aumento dei collegamenti aerei tra le due aree geografiche, che hanno già portato alla registrazione di migranti, come i siriani, tradizionalmente presenti solo nel Mediterraneo orientale, sulle rotte provenienti dalla Libia».

Se a questo dato si aggiungono le partenze ininterrotte in atto da inizio 2023 sia dalla Tunisia che dalla Libia, il quadro è completo. Ieri a Lampedusa sono arrivati in 42 su un barchino, mentre altrettanti lasceranno il centro in Contrada Imbriacola prendendo la direzione di Porto Empedocle.

L’obiettivo è decongestionare Sicilia e Calabria, ma il lavoro resta improbo. E alle richieste delle regioni del Mezzogiorno, da sempre in prima linea nella primissima accoglienza, si sono aggiunte le rivendicazioni dei territori dell’Italia centro-settentrionale: sono ormai 136mila i migranti inseriti nel sistema dell’ospitalità, 40mila in più rispetto allo stesso periodo del 2022. Lombardia (con 17.430 persone) Emilia Romagna (12.898) e Piemonte (12.062) sono le aree in cui hanno trovato posto il maggior numero di profughi. Arrivano in pullman, spesso direttamente dai luoghi di sbarco, in molti casi sono minori non accompagnati.

Il problema è che in attesa degli hotspot, uno per regione, promessi dall’esecutivo (e per la cui costruzione serviranno comunque alcuni mesi) si fa fatica a reperire spazi, nelle grandi città come nei piccoli Comuni. E le Prefetture, dopo aver visto nei mesi scorsi andare deserti tanti bandi destinati all’accoglienza, ora provano a rivolgersi direttamente a chi si occupa della presa in carico degli stranieri. È accaduto ad esempio a Modena, dove la prefettura si è rivolta ai parroci della diocesi per trovare nuovi spazi coperti. Nel Modenese infatti le strutture sono ormai sature ed il flusso dei migranti è in aumento: 680 sono quelli giunti in territorio emiliano dall'inizio di luglio.

Da una parte, c’è la necessità di individuare strutture e soprattutto chi possa gestire persone e percorsi con competenza, dall’altro rimane la consapevolezza che servizi all’altezza meritano risorse che finora non sono arrivate (tanto da rendere appunto non conveniente la partecipazione alle stesse gare indette dallo Stato). È quel che ha spiegato, rispondendo allo stesso appello prefettizio, il vicedirettore della Caritas diocesana modenese, Federico Valenzano, quando nel ricordare le 250 persone già inserite nei percorsi di ospitalità, ha sottolineato « l'impossibilità di rispondere a logiche puramente emergenziali». La stessa risposta che è stata data, in questi mesi, da tante organizzazioni che si occupano di migranti nelle diocesi del Nord Italia, dalla Lombardia al Piemonte.

Nel frattempo, sui territori crescono le tensioni per i progetti annunciati (e non condivisi) di nuova accoglienza. Nel Parmense preoccupa, ad esempio, l’avvio dei lavori di riconversione di una ex fabbrica per la trasformazione del pomodoro in un nuovo centro di transito per richiedenti asilo. Si trova a Martorano, piccola frazione di Parma, e i residenti della zona hanno già manifestato per dire «no» alla decisione della Prefettura. Analoga preoccupazione è stata espressa dalle organizzazioni locali del Terzo settore.

Ieri ad Ancona, a protestare contro l’ordinanza anti-bivacco emessa dal Comune, c’erano gli stessi richiedenti asilo, che dormono in strada. È uno scenario, questo, destinato a moltiplicarsi in diverse zone del Paese, dopo la decisione di svuotare i Cas, i Centri per l’accoglienza straordinaria, vista la necessità di liberare posti letto per i nuovi arrivati. Di questo si parlerà nei prossimi giorni, visto che il Viminale ha messo in agenda un vertice con l’Anci, l’Associazione dei Comuni italiani, che negli ultimi mesi ha chiesto risposte sul versante dell’accoglienza. La data dell’incontro ancora non c’è, ma il segnale di apertura del negoziato tra il ministero dell’Interno e i primi cittadini sembra essere arrivato.


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