mercoledì 5 febbraio 2020
Torna a Milano, al Salone degli Affreschi della Società Umanitaria, il lavoro di Stefano Cattini che, con la voce dei protagonisti, ha raccontato una storia di coraggio e perseveranza
Il Pentcho

Il Pentcho - (Archivio)

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Pentcho era il nome del battello. Legno, ruggine e due gigantesche, sgangherate, buffissime ruote a pala sui fianchi. Ispirava tutto fuorché solidità. Nel maggio del 1940, durante l’occupazione tedesca, cinquecento ebrei – cechi, slovacchi, polacchi – decisero di salirci sopra lo stesso, al porto di Bratislava. L’idea era quella di navigare il Danubio fino al Mar Nero, dove li attendeva un’imbarcazione più grande che li avrebbe portati nella Palestina mandataria. Le cose non andarono esattamente così. Il Pentcho impiegò cinque mesi per scendere il fiume, tra blocchi, malfunzionamenti, mancanza di rifornimenti, malattie, incidenti. Quando arrivò a Sulina, la nave che li doveva raccogliere non c’era più. Decisero di affrontare il mare. Il battello finì per arenarsi su un’isola greca deserta, Camilonisi. E dopo dieci giorni, i naufraghi, ormai allo stremo, vennero salvati da una nave militare italiana, il Camogli. Furono portati a Rodi, territorio dell’Italia fascista, e internati un campo. E poi vennero trasferiti a Ferramonti di Tarsia, in Calabria, in un altro campo. Ma si salvarono tutti.

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Quella del Pentcho è una storia incredibile – di disperazione, di coraggio, di perseveranza – che viene voglia di ascoltare cento volte. Anche se si conosce il finale. Il regista Stefano Cattini ne ha fatto un capolavoro, intimo e coinvolgente. Il suo Pentcho, uscito nel novembre 2018, è un docu-film che dovrebbe circolare in tutte le aule di scuola. Che dovrebbe essere disponibile su tutte le piattaforme streaming e on demand (purtroppo non è così). Domani, alle 16, verrà proiettato al Salone degli Affreschi della Società Umanitaria (via San Barnaba 48). E ne seguirà un dibattito con il regista.

Il valore della Memoria

Cattini ha ripercorso la rotta del Pentcho e incontrato i protagonisti, molti dei quali vivono oggi in Israele. Di uno in particolare, Karl, oggi novantenne, parla come si parla di un padre. Nel film è fissato il momento in cui Karl gli consegna del materiale che sarà poi utile per girare, con uno sguardo misto di orgoglio e stupore per l’interesse verso una storia che, fino a lì, nessuno era andato a cercare. «Quando gli ho spiegato il mio progetto – racconta il regista parmigiano –, Karl mi ha detto che avrei dovuto piuttosto concentrarmi sui marinai italiani che li avevano salvati, uomini che meritavano di essere finalmente ricordati». C’è voluto un po’ per convincerlo. «L’ho invitato a Parma – continua Cattini – ed è arrivato dall’aeroporto accompagnato in macchina da un amico. Hanno pagato mezz’ora di parcheggio. Invece sono rimasti fino a sera. Salutandomi, ha detto che lui aveva ormai 90 anni e che forse, sì, quello era il modo giusto per passare il testimone, consegnare la sua memoria». Il Pentcho è così ripartito, sulla pellicola del film. Ottanta minuti che fanno bene. E che restano.


L’iniziativa di domani è promossa dall’Associazione Nestore (www.associazionenestore.eu), con Società Umanitaria, Sonne Film, Cdec (Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), Anmi Milano, Comunità Ebraica di Milano e Avvenire.

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