sabato 29 dicembre 2012
​Da Palermo a Varese, da Torino a MIlano, le storie di chi non si è arreso di fronte alla crisi degli ultimi anni. Ed è «rinato». Storie di speranza per l'anno che verrà.
Sguardo al domani: su cosa si fonda una speranza di Marina Corradi
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La crisi, la crisi. Come un mantra questa parola paurosa viene ripetuta con cadenza ossessiva da tutti. Una sorta di Moloch a cui non è possibile sfuggire. E, in realtà, la situazione è molto difficile e abbisogna di nuove e radicali riforme per poter superare questi scogli. Eppure in questo quadro tendente al grigio scuro se non proprio al nero, vi sono iniziative, imprese, persone che hanno il sapore della sfida. Del guanto gettato in faccia alla paura che spesso è il primo gradino da salire se si vuole ricominciare. Alla fine di questo difficile 2012, quindi, Avvenire propone una serie di storie di persone che non si sono arrese. Che non hanno lasciato che la situazione difficile li schiacciasse. Che si sono rimboccate le maniche e sono ripartiti. Storie che vedono protagonisti di tutti i generi. Dai giovani disoccupati torinesi che si sono inventati un mestiere di restauratori di biciclette, alla media azienda varesina che - con sagacia e lungimiranza - ha investito nelle nuove tecnologie e ora continua a fare utili esportando nel mondo una nuova macchina alesatrice. Dal Nord al Sud. Ci sono le imprese lombarde che si sono unite creando un “distretto sicurezza” capace di offrire, nell’ambito di un’attenzione sempre più mirata alla lotta agli infortuni sul lavoro, un pacchetto chiavi in mano che copre tutti gli aspetti della salvaguardia della salute. E c’è il giovane imprenditore siciliano che nel suo quartiere generale di Mondello viaggia in tutto il mondo via Internet creando - con il suo staff - filmati pubblicitari acquistati da imprese leader a livello mondiale.Vittorie di squadra e vittorie personali. Come quelle di due donne: una studentessa e un’insegnante che hanno saputo trovare in loro – e grazie all’aiuto di alcuni amici – le risorse per ricominciare prioprio quando sembrava impossibile. Sono tutti segni che testimoniano che la crisi, qualunque crisi, si può guardare in faccia. E battere.Palermo, nuovi posti di lavoro grazie al “Carosello” onlineMentre attorno la crisi ha falcidiato i posti di lavoro e mandato sul latrico gli imprenditori, c’è un’azienda che, puntando sull’innovazione e sull’entusiasmo tutto giovanile, ha superato indenne il 2012, riuscendo perfino ad assumere una decina di nuovi dipendenti. Si chiama Mosaicoon il miracolo dell’imprenditoria under 35 a Palermo, che tra gli alberi di Mondello, a pochi passi dalla spiaggia più rinomata della città, mantiene il suo quartier generale, tessendo relazioni con committenti di tutta Europa. Grafici, creativi, producer, programmatori, quasi tutti siciliani, hanno fatto dei video virali la loro idea imprenditoriale vincente. Si tratta di filmati pubblicitari che, grazie ai contenuti "contagiosi", vengono condivisi dagli utenti in rete, conquistati dalla qualità dei contenuti. Aziende leader come Vileda, Warner Bros, McDonald, Algida si sono fidate di questi inventori del Carosello contemporaneo, non mirato esclusivamente al prodotto, ma con un valore aggiunto in termini di storia, di narrazione, di piacevolezza.E quest’anno hanno fatto l’en plein di premi per l’innovazione e, dopo Palermo, Roma e Milano, hanno inaugurato la sede di Londra. Mosaicoon ha vinto il Premio Start Up Nation, il concorso promosso dall’ambasciata italiana d’Israele rivolto a imprese ICT italiane, è stata nominata migliore Start up dell’anno e ha ricevuto il premio Italia Unicredit.Ma oltre al successo sono arrivati anche i nuovi posti di lavoro. «Abbiamo assunto una decina di persone e adesso siamo quasi trenta, tutti con meno di 35 anni e tanta voglia di creare» racconta con il suo entusiasmo da trentenne pieno di idee Ugo Parodi Giusino, che dopo la laurea al Dams fondò una piccola società con altri due laureati siciliani e uno spagnolo, che si sarebbe trasformata nel primo venture capital in Sicilia, cioè il primo investimento di capitali su una società nascente scelta per le sue idee innovative e per il management di qualità. A scommettere 650mila euro sulla Mosaicoon spa è Vertis s.g.r. tramite il fondo di investimento Vertis Venture che utilizza per il 50 per cento il "Fondo hi-tech per il Sud" del ministero dell’Università e della Ricerca. Il risultato è che nel 2007 i quattro pionieri (Ugo Parodi, Marco Imperato, Giuseppe Costanza e Juan Serrano Ortiz), grazie al sostegno del consorzio Arca, l’incubatore d’impresa dell’Università di Palermo, aprirono la strada di un modo innovativo di fare pubblicità via internet distribuendo video e, ad appena cinque anni di distanza, il progetto ha fruttato contratti con aziende di mezzo mondo e assunzioni di giovani entusiasti e creativi.«Siamo riusciti a inserirci nel mercato della pubblicità via internet che è in grande crescita - ammette Parodi -In più puntiamo su un prodotto innovativo e poi abbiamo una grande voglia di lavorare e di confrontarci con tutte le sfide che si presentano». Senza mai disdegnare un brainstorming sulla spiaggia di Mondello: con quel mare si pensa meglio. Alessandra Turrisi

 

«Banca addio, aggiusto le biciclette»Lasciare un posto in banca per dedicarsi alle biciclette. Investire sul futuro a partire dalle intramontabili due ruote, il mezzo di trasporto più economico. «Un settore in cui mi è sembrato che si potesse investire, visto che i tanti che non si possono più permettere l’auto si spostano il più possibile in bici». È la storia di Marco Bolle, 31enne laureato in economia, che insieme ad altri due giovani ha dato vita nel multietnico quartiere torinese di San Salvario alla "Ciclofficina artigiana", inaugurata in marzo. «Ho iniziato come hobby, poi ho capito che volevo lavorare nel mondo delle bici. Ho imparato il mestiere da autodidatta».

Nella bottega si effettuano riparazioni, saldatura, recupero di componentistica, restauro di bici antiche, realizzazione di telai da due o tre ruote partendo da semplici tubi. «Da aprile a novembre abbiamo avuto tantissimi clienti, mentre durante l’inverno l’attività è più tranquilla», spiega Bolle che ama questo mestiere «perché si lavora con le mani, si sta a contatto con la gente e si diffonde la cultura della mobilità lenta, umana». Per dedicarvisi s’è licenziato dalla banca, «dove non c’erano prospettive di carriera» e attraverso l’associazione MuoviEquilibri ha seguito la nascita di alcune ciclofficine popolari, dove chiunque può riparare da sé la propria bici, assistito da professionisti. Ce n’è una nel quartiere Aurora, all’interno del Cecchi Point, una casa per i giovani e il mondo delle associazioni.

 

Per passare dall’hobbistica alla professione, Marco si è messo in società con altri due giovani, Giorgio Fox, laureato in ebraico biblico, e Luca Galliano, che per dedicarsi alle bici ha lasciato i suoi studi al Politecnico. «Il nostro investimento è stato minimo: avevamo già l’attrezzatura e abbiamo trovato un locale con un affitto basso che abbiamo ristrutturato da soli», spiega Marco. Il locale è piccolo, «così cerchiamo di riparare le bici sul momento, perché non abbiamo un magazzino in cui depositarle». Secondo lui, l’incremento dell’uso della bici si scontra, almeno a Torino, con due limiti: «Da un lato i furti, dall’altro i problemi che riguardano la sicurezza degli attraversamenti e delle piste ciclabili». In città esiste una forte comunità di ciclisti, come dimostra ad esempio il successo del bike pride, mentre realtà come la ciclofficina di San Salvario sono tutt’altro che isolate. Un altro laboratorio per il riuso e riparazione delle bici è gestito da una cooperativa, il Triciclo; inoltre, il servizio comunale di bike sharing, inaugurato nel 2010, ha registrato negli ultimi sei mesi il 30% di crescita degli abbonamenti, arrivati a quota 18mila.

Fabrizio Assandri

 

«Sono guarita dal “mal di scuola”. Adesso soccorro chi è in difficoltà»

La crisi ti può colpire quando meno te lo aspetti e nei modi più impensati. Dopo più di trent’anni di insegnamento, la maestra elementare Anna Di Gennaro mai avrebbe pensato di arrivare a odiare la scuola. Eppure è successo. «Insegnare mi piaceva tantissimo, ma mi sentivo sempre stanca e capivo che qualcosa in me non andava più», ricorda la donna, che vive a Milano. Allora non lo sapeva ancora, ma era stata colpita da burnout, una malattia professionale dei docenti che si manifesta come una forma di depressione e in casi, sempre più frequenti, favorisce lo sviluppo di tumori.

«Ho manifestato il mio disagio al dirigente scolastico – racconta la signora – e sono stata inviata alla commissione medica per una verifica delle mie condizioni».
Qui incontra Vittorio Lodolo D’Oria - pioniere in Italia dello studio delle nuove malattie professionali, tra cui quelle degli insegnanti, fino ad allora pressoché ignorate - che le prescrive un mese di riposo per «problemi psicologici e psichiatrici gravi». «Dopo – ricorda Anna Di Gennaro – avrei anche potuto tornare in classe, ma non me la sentivo più».
Per l’ormai ex insegnante, comincia, a 50 anni, una nuova vita. Lodolo D’Oria la invita a lavorare nel suo staff e la introduce nel delicato e faticoso mondo dello stress da lavoro che colpisce gli insegnanti. Collabora alla pubblicazione di ricerche sull’argomento e, da un paio d’anni, è referente dello sportello “Io ti ascolto” aperto a Milano da Diesse Lombardia, associazione di insegnanti. Qui incontra docenti “malati di scuola”, che segue nel loro percorso di presa di coscienza. Attualmente sono una trentina e le richieste sono in continuo aumento.

 

«Consapevolezza e condivisione dei problemi – spiega Anna Di Gennaro – sono infatti le basi per arrivare a comprendere un disagio che sale dentro e non ti lascia scampo. Poco prima di Natale, mi è arrivata da un’insegnante di Verona una mail che è un grido d’aiuto. “Non riesco più ad avere relazioni sociali degne di questo nome”, scrive. E non è un caso isolato». Per chi è ancora in piena crisi, lo sportello è un punto di riferimento importante e per tanti ha rappresentato lo strumento per trasformare la fatica e lo scoramento in una nuova opportunità. Per uscirne più forti e consapevoli. «A 50 anni la vita non può essere finita e c’è sempre la possibilità di ricominciare». Parola di chi ce l’ha fatta.

Paolo Ferrario

La studentessa: «Volevo abbandonare dopo le medie. Sono iscritta alla facoltà di economia»Voleva abbandonare la scuola dopo le medie e invece sta procedendo a passo spedito verso la laurea. A far cambiare idea a Maja Nesic, nata a Belgrado 22 anni fa, in Italia dal 1998, ci hanno pensato le persone che, in questi ultimi dieci anni, ha incontrato sul proprio cammino e che le hanno «insegnato ad affrontare la vita con un altro sguardo». Alla base di tutto ci sono parole come “amicizia”, “ascolto” e “stima”, che per Maja hanno, di volta in volta, rappresentato un motivo in più per andare avanti, per non arrendersi e, in definitiva, dimostrarsi più forte delle crisi che le si presentavano.

Nonostante un impatto traumatico con il nostro Paese («Due giorni dopo l’arrivo mi sono ritrovata in seconda elementare senza conoscere una parola di Italiano»), Maja supera la scuola primaria senza problemi, che però cominciano alle medie. A quell’epoca la famiglia (genitori e quattro figli), viveva a Lodi, dove la ragazza, conseguito il diploma, avrebbe voluto lavorare come cameriera. Un’amica riesce invece a convincerla ad iscriversi al Centro di formazione professionale “Canossa” (corso per addetta alle vendite e contabilità) in quegli anni diretto da Diego Sempio. Un incontro che, è sempre Maja a raccontare, «mi ha cambiato totalmente la vita e mi ha ridato la voglia di impegnarmi nello studio». Forse per la prima volta, la giovane si sente stimata persino oltre le proprie aspettative. Anche quando la famiglia si trasferisce a Brescia, lei decide di sobbarcarsi cinque ore di viaggio al giorno pur di restare ancorata al Cfp lodigiano e ai suoi insegnanti. «Mi sentivo guardata e compresa come una persona – ricorda – e ho anche imparato a chiedere aiuto, superando il mio orgoglio».
Negli anni al Cfp “Canossa”, Maja, grazie all’accompagnamento di veri maestri, scopre di possedere talenti prima ignoti e quindi non valorizzati. Dopo la qualifica si iscrive a un corso serale per ragionieri, per conseguire il diploma di scuola superiore. Intanto comincia a lavorare a Milano, in una società di consulenza finanziaria. Anche qui incontra una responsabile che la valorizza e le concede anche orari flessibili nell’anno della maturità.

Così arriva il diploma e, quando pensava di smettere di studiare, gli amici che aveva incontrato continuano a credere in lei e le propongono l’università. Con quali soldi? Alla prima rata di Economia serale alla Cattolica, ci pensa un imprenditore conosciuto anni prima (a cui in seguito Maja restituirà il prestito grazie alle borse di studio che le vengono riconosciute per i primi due anni). Oggi è al terzo e sta preparando gli esami della sessione invernale. «Mi sono fidata, credendo anche di più in me stessa e oggi sono felice», conclude soddisfatta.Paolo Ferrario

Col gioco di squadra le aziende vinconoÈ una «famiglia di imprese», il Distretto Sicurezza Alta Lombardia. Qui ciascuno ha il suo compito: chi vende dispositivi di protezione, chi interviene sulle coperture degli impianti, chi offre consulenze ambientali. Un gioco di squadra per garantire alle aziende un «pacchetto completo» di servizi, grazie anche a un centro medico polispecialistico e uno studio legale. Oltre a una iniziativa per la formazione dei giovani.

Il progetto nasce dal «Matching» 2011, fiera organizzata a Milano dalla Compagnia delle opere. È lì che alcune realtà del settore, mantenendo ciascuna la propria identità, decidono di sostenersi a vicenda. Uno studio della Cdo conferma la bontà della loro intuizione: vale la pena di unire le forze.
«Siamo partiti da quattro aziende – spiega Simona Frigerio, coordinatrice del Distretto Sicurezza Alta Lombardia –. Ora siamo in quattordici, delle province di Como, Lecco, Monza-Brianza e Sondrio». Dietro i numeri, un esempio di come – nonostante le tempeste della crisi economica – si possa restare a galla grazie alla collaborazione. «Stare insieme vuol dire migliorare l’efficienza delle aziende – riprende Frigerio –. Mettiamo in comune le nostre competenze».
Tradotto: se una impresa ha bisogno di corsi di formazione per i propri lavoratori in tema di sicurezza e deve anche comprare imbragature, può rivolgersi ad un solo soggetto, che smista poi i compiti ai vari associati. «Abbiamo avuto un aumento di visibilità – riprende la referente del Distretto – e un maggiore successo commerciale». Certo, bisogna sempre fare i conti con la crisi: se l’edilizia è bloccata e gli operai non lavorano, chi si occupa della loro sicurezza rischia di fermarsi. «Il Distretto è più un progetto a medio-lungo termine, ma ha già portato buoni frutti. – risponde Frigerio –. E vogliamo proseguire su questa strada: nel 2013 speriamo di crescere ancora e raggiungere le 20 imprese, magari coinvolgendo anche realtà non solo lombarde e impegnate in altri settori, come quello dell’analisi acustica».
Della rete di società fa parte anche una realtà del non profit, la «Cometa formazione». L’obiettivo è rendere gli studenti protagonisti di un percorso in cui si affronta il tema da più punti di vista: operaio, medico e datore di lavoro, anche attraverso visite alle aziende. L’imperativo è partire dai giovani, perché saranno loro a garantire la sicurezza delle imprese di domani.
Lorenzo Galliani
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