giovedì 31 marzo 2022
Il sottosegretario in missione nei campi in Polonia: il nostro Paese in prima linea, dopo la guerra non ci sarà più l’Europa dei blocchi
Enzo Amendola

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Enzo Amendola, sottosegretario agli Affari Ue: lei ieri a Varsavia ha incontrato il suo omologo polacco, Konrad Szymanski, per fare il punto sull’accoglienza. Di cosa hanno bisogno i Paesi al confine con l’Ucraina, cosa deve fare l’Ue e quale invece il ruolo dell’Italia, quale il tipo di partnership che stiamo stringendo con Varsavia?
L’Europa sta dimostrando forte unità nel sostegno al popolo ucraino e alla sua sovranità messa sotto attacco dall’invasione russa. Al contempo la solidarietà è massima nell’accogliere le persone in fuga dalla guerra. La Polonia ha già ricevuto nell’ultimo mese 2 milioni e mezzo di ucraini, in parte minorenni. L’Italia è qui e mostra vicinanza a livello di governo, con una catena di aiuti che lega la Protezione civile alle tante Ong che da settimane sostengono gli sfollati. Un paese come l’Italia non si tira mai indietro quando sono in gioco i più deboli.

Crede che questa esperienza metterà fine al blocco di Visegrad per come l’abbiamo conosciuto sinora?
Non mi ha mai convinto l’idea di un’Europa divisa in blocchi né di una contrapposizione tra Est e Ovest o tra Nord e Sud. Sono schemi del passato che, dinanzi a sciagure come la guerra, si sgretolano. Il sostegno dell’Italia alla Polonia non è frutto di questioni legate ai dossier europei, ma al fondamento della nostra unità europea, imperniata sul valore della solidarietà e dell’impegno comune dinanzi alle tragedie. Valeva ieri e vale soprattutto oggi.

In serata lei si è spostato anche presso i campi profughi di Rzeszow e Korczowa, dove la sofferenza si tocca con le mani: quale è la situazione umanitaria che ha incontrato e cosa immagina per il futuro? Servirà un sistema europeo per quote o un investimento per la rapida ricostruzione dell’Ucraina?

L’attivazione della direttiva per la protezione temporanea e le scelte dei ministri degli Interni delineano un sistema di necessaria cooperazione tra gli Stati europei. I centri di accoglienza polacchi al confine sono sottoposti a continui passaggi di profughi con necessità diverse. Ho assistito con forte emozione all’arrivo di bambini malati oncologici che, grazie alle energie italiane, verranno trasferiti nei nostri ospedali. Sono orgoglioso, e dobbiamo esserlo tutti, dei numerosi volontari italiani e della Protezione civile che collaborano con le autorità polacche per gestire tante differenti storie di sofferenza. Ci sono i feriti di guerra e chi ha bisogno di cure psicologiche o di un rifugio sicuro.

Lei ricorda che l’Europa ha battuto presto un primo colpo: ritiene che l’applicazione della direttiva UE del 2001 ai profughi del conflitto in Ucraina possa essere estesa per analogia ai profughi in fuga da altri conflitti extraeuropei? Potrebbe essere la leva per la costruzione di regole sul diritto d’asilo che superino finalmente quelle obsolete del Regolamento di Dublino? Quale iniziativa sta attuando l’Italia in questa direzione?
Per la prima volta ci troviamo davanti a un fronte interno di massiccia migrazione fra Paesi europei. Abbiamo avuto finalmente il coraggio di tirare fuori dal cassetto la direttiva per la protezione temporanea degli sfollati. Non deve restare un gesto isolato. Auspico sia l’avvio di un cambiamento irreversibile dell’approccio europeo. Le regole sul diritto d’asilo devono essere ispirate a equità e legalità, il Regolamento di Dublino non rispetta questo primo requisito. Sarà importante da un lato finalizzare il negoziato che cambi le politiche Ue sull’immigrazione, e dall’altro proseguire rapidamente su investimenti in cooperazione nei Paesi di origine e transito dei flussi migratori, novità introdotta nei vertici europei anche grazie all’Italia.

In Italia è scoppiato il conflitto tra Draghi e Conte sulle spese militari. Il suo segretario, Letta, si dice preoccupato. Quale è la sua posizione? È possibile ridurre le distanze e come?
Conte ha dichiarato che il M5s non si opporrà al decreto e che non metterà in crisi la maggioranza. Me lo auguro. Nessuno – né il Pd né tantomeno il governo – vuole una corsa al riarmo, espressione fuorviante e che non fa onore alle scelte compiute a livello europeo. Infatti, dopo decenni di ritardi, abbiamo dato vita nell’ultimo Consiglio europeo a un progetto di politica estera e di difesa comune. È un cambio di prospettiva legato a investimenti comuni e all’impegno per le missioni di pace fuori dai confini europei, a cui l’Italia non può mancare.

Non pensa sia anomalo che il Pd si trovi a difendere con i denti i target Nato e in qualche modo a dover contraddire un alleato politico che invece chiede di non sacrificare risorse per il sociale?
Il Pd in questi anni di crisi ha lottato con responsabilità per difendere l’interesse nazionale. Siamo quelli che hanno creduto più di tutti nella svolta del Next generation e nelle politiche fiscali orientate alla crescita e alla coesione sociale. Lo dicono i fatti, non le insinuazioni di queste ore. Ma proprio perché il nostro europeismo ha protetto l’Italia nei momenti difficili, non possiamo far venire meno l’appoggio alla nuova politica estera e di difesa comune europea.

Draghi ha sentito Putin: quale è il contributo specifico dell’Italia, sul fronte diplomatico, per un processo di pace?
I nostri sforzi diplomatici sono stati costanti nel quadro dell’Unione europea e dell’Alleanza atlantica. L’obiettivo è avere le parti sedute a un tavolo negoziale che faccia cessare subito i bombardamenti.

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