sabato 30 maggio 2020
A capo dell'Università Bicocca di Milano, il confronto sulla Fase 2 che vede penalizzate le donne: come cambiare perché nessuno resti indietro
La rettrice Giovanna Iannantuoni

La rettrice Giovanna Iannantuoni

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“Sono una mamma-rettrice. Prima mamma, e poi rettrice”: si presenta così Giovanna Iannantuoni, alla guida dell’Università Bicocca di Milano dal 2019 dopo un’altra donna. Economista con un lungo elenco di incarichi e di pubblicazioni scientifiche, in questa conversazione con Avvenire parla di sé e delle donne, di come sia tempo, in Italia, di una leadership al femminile, capace di modernizzare il Paese tenendo insieme la sua anima. E in bocca alla giovane rettrice, sorridente e determinata, persino la parola “potere” assume un significato bello: potere per cambiare la società, potere per creare un mondo più giusto per le bambine come sua figlia Chiara che ha 8 anni e sogna di fare l’astronauta. In modo che nessuna donna sia più costretta a scegliere tra lavoro e famiglia. Un augurio che vale soprattutto per questa fase post-pandemia, in cui sono proprio le lavoratrici, con la loro massiccia presenza nei settori del terziario e della cura alla persona, a rischiare di più.

Rettrice Iannantuoni, la fase 2 preoccupa: si teme che saranno penalizzate soprattutto le donne. Lei come la vede?

E’ stato calcolato che il 75% di chi sta rientrando al lavoro nella Fase 2 sono maschi. Se nella Fase 1 le donne sono state messe enormemente sotto pressione, nella Fase 2 aumenteranno le disuguaglianze sociali. Quando ciò accade, uno dei parametri che peggiora di conseguenza è il gender gap (il divario tra uomini e donne rispetto a diversi indicatori, tra cui salari e occupazione, ndr). Dobbiamo mettere in campo tutte le politiche necessarie perché ciò non accada. Da economista ricordo che l’Italia è tra i Paesi europei con il tasso di occupazione femminile più basso. Il 50% delle donne con bambini in età scolare esce dal mondo del lavoro. E’ una cosa che dobbiamo cambiare. Sebbene io sia una donna privilegiata, nel senso che non ho dovuto affrontare il dilemma tra famiglia e lavoro, voglio dire alle donne di non fare questa scelta, di tenere duro e lottare per non essere messe nella condizione di farlo.

Nelle scorse settimane si è notato che nelle varie task force di esperti di cui si è avvalso il governo per affrontare l’emergenza, il numero delle donne è decisamente inferiore a quello degli uomini. Poi il premier Conte ha parzialmente rimediato. Ma perché questo accade così spesso, in Italia?

Perché quello in cui viviamo è un mondo di uomini fatto per gli uomini. Non c’è dubbio: nel nostro Paese gli uomini preferiscono lavorare con colleghi maschi. Mi piace dire che quando invece saremo governati da donne, avremo un mondo governato da donne ma per tutti, donne e uomini.

C’è chi dice che si fatica a trovare donne rappresentative nei vari settori della scienza, soprattutto. Ma è vero?

No, non è vero. Noi ci siamo, dappertutto, con professionalità uguali a quelle degli uomini: ci siamo negli ospedali (le dottoresse hanno combattuto in prima linea il coronavirus tanto quanto i loro colleghi uomini), ci sono virologhe, epidemiologhe, microbiologhe, sociologhe, economiste, prefette e poliziotte… La presenza femminile di qualità è ovunque. Non è vero che non ci sporgiamo (il riferimento è al famosissimo libro di Sheryl Sandberg “Lean in”, “Facciamoci avanti”, 2013, Mondadori), non è vero che non ci siamo. Ma non abbiamo un riconoscimento perché c’è difficoltà a capire che una donna può avere ruolo di leadership. Probabilmente il nostro Paese non è pronto, a causa di retaggi culturali sbagliati.

Come si superano i retaggi culturali?

Noi donne siamo pronte, gli uomini un po’ meno. Dobbiamo educare i nostri figli maschi. Anche nel linguaggio: le bambine “carine” e i bambini “intelligenti”. Le donne “amorevoli” e gli uomini “competenti”… Guardi cosa succede nei dibattiti televisivi: sulle ospiti donne (quando ci sono) si fanno commenti sul fisico o l’abbigliamento, sugli uomini no.

E’ successo anche a lei di aver notato differenze di trattamento?

Ho notato un fatto curioso, sì. Quando ho deciso di candidarmi alla carica di rettrice, mi dicevano che ero “ambiziosa”. Dei miei concorrenti dicevano che erano “competenti”. Mi sono interrogata a lungo su questa parola: ambiziosa, usata evidentemente non come un fatto del tutto positivo…

E dunque, lei è ambiziosa?

La risposta è sì, sono una donna ambiziosa. Ma sa qual è la mia ambizione? Quello di cambiare l’approccio culturale intorno a me. Sono di origine foggiana, vengo da una famiglia tradizionalista. Queste radici me le porto nel cuore molto care, perché danno una qualità alle mie scelte. La mia famiglia mi ha dato indipendenza ed autonomia; non sono stata educata da femmina, ma da essere umano. A mia figlia di 8 anni dico che l’esperienza più bella della mia vita è stata quella di avere lei, di giocare con lei. Noi donne non dobbiamo rinunciare a nulla per arrivare dove vogliamo. Non dobbiamo perdere questa differenza. Possiamo tutto, non dobbiamo rinunciare a nulla. Essere madri, poi, dà una presa a terra invincibile.

Lei è tra le 5 rettrici italiane su un totale di 80 rettori. Una donna di potere, come ce ne sono poche in Italia. E’ il potere che rifiuta le donne o le donne che rifiutano il potere?

E’ vero, molto spesso le donne hanno paura del potere. Il potere ci mette in difficoltà. Perché? Ci ho pensato a lungo quando mi sono candidata come rettrice e ho concluso che è perché non ci siamo abituate. Vivere diversi anni all’estero mi ha aiutata ad essere più “assertiva”. Ho imparato a non temere i commenti negativi e le critiche e a non farmi frenare dalla paura di non farcela. Perché una volta conquistato, noi donne il potere lo possiamo leggere nella sua verità: la possibilità di fare delle cose, di testimoniare quello in cui crediamo. Non è il potere fine a se stesso, quello che interessa alle donne. E’ l’uso che si può fare della propria carica per cambiare la società. Io ho voluto questo potere, perché voglio incidere sulla nostra società per permettere a mia figlia di vivere in un mondo migliore

Lei pensa che sia tempo di leadership al femminile?

Penso che possa rappresentare il cambiamento culturale di cui il nostro Paese ha bisogno. L’Italia ha necessità di essere modernizzata, ma tenendo insieme la sua anima, che è quella della famiglia e della vita comunitaria. E noi donne lo possiamo fare, perché siamo abituate a fare tante cose insieme. Quindi, ragazze, non abbiate paura, lanciatevi.

Il divario di genere riguarda anche gli studi tecnico-scientifici ed economici, ancora oggi troppo connotati al maschile. L’Università che lei dirige, Milano-Bicocca ha una proporzione quasi paritaria, ma altrove non è così. Cosa si può fare per cambiare?

Bisogna iniziare ad avvicinare i bambini, maschi e femmine, a materie come la biologia e la fisica, attraverso il gioco e stimolando la curiosità, un modello che abbiamo introdotto nel nido della Bicocca, aperto anche all’esterno. E poi bisogna agire sui modelli culturali che si insegnano i famiglia. Dobbiamo rompere gli stereotipi secondo i quali le femmine devono essere carine e i maschi intelligenti. Dobbiamo educare le nostre bambine a sogni che non siano stereotipati, senza che rinuncino mai ad essere femmine, che è un privilegio meraviglioso, ma dobbiamo educare le nostre bimbe a sogni che non siano stereotipati. Dobbiamo affermare che una donna può essere intelligente, giovane, carina e madre e può avere tutto nella vita. Gli stereotipi sono immorali e il loro frutto è che nella vita sociale e nel mercato del lavoro le donne sono sottoposte a limiti nella loro carriera e nelle loro libertà. Tutto questo non dovrebbe lasciarci indifferenti. Il fatto che molte donne non ricevano riconoscimento delle loro qualità e competenza è inefficiente anche per la società: se vanno avanti i peggiori e non i migliori, si perpetuano le inefficienze.

Largo alle donne, quindi?

Sì, certo. Noi oggi siamo costrette a fare delle scelte, e invece dobbiamo costruire un futuro in cui le carriere di uomini e donne siano costruite solo sulle competenze e le attitudini. La sfida che dobbiamo accettare è che, una volta arrivate a posizioni di leadership, non dobbiamo replicare l’errore di cui siamo state tate volte vittime. Quel che dobbiamo privilegiare è il merito, e non fare questioni di genere, di età, di stato civile.

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