giovedì 30 agosto 2012
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Rifondare la politica e riformare lo Stato. Un’urgenza e un allarme insieme, rilanciato ieri dal presidente della Cei Bagnasco. Ne discutiamo con Mauro Magatti, preside della facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano. «Io credo che ci troviamo in un momento storico molto importante: gli ultimi vent’anni sono stati contrassegnati da due grandi direttrici, da un lato la globalizzazione, con l’aumento della efficienza tecnica, della comunicazione, della ricerca scientifica, con l’espansione dell’economia e della finanza, in quella che potremmo chiamare la dimensione "macro" del fenomeno. Dall’altro lato l’età del benessere ha enormemente dilatato – non solo in Italia, ma in tutto il mondo occidentale – la soggettività dei singoli. In altre parole ci siamo sentiti tutti padroni del nostro destino, con la voglia di espanderci, di decidere, di fare riferimento principalmente a noi stessi».Immagino che il nostro Paese non ne sia rimasto estraneo.Certamente no, ma l’Italia delle due direttrici ha preso soprattutto la seconda, respirando in abbondanza questo vento di individualismo radicale, mentre come società ci siamo impegnati piuttosto poco sul versante dell’innovazione e della revisione dei sistemi economici e produttivi. Con quale risultato?Quello di un disorientamento e una frammentazione sociale preoccupante, e lo si vede con chiarezza in questi tempi, ora che la crescita e l’espansione economica si prefigura no più difficoltose, negoziate, impegnative. In compenso la società italiana si è fortemente indebolita, soprattutto sul piano spirituale. Non per nulla il cardinale Bagnasco propone che la spina dorsale profonda dell’Italia ruoti attorno alla grande tradizione cristiana, senza cui questo Paese non riesce a stare in piedi.I cosiddetti "valori non negoziabili"?Esatto, dalla vita alla famiglia, al lavoro, alla giustizia sociale. E queste non sono affatto considerazioni a latere: proprio perché siamo di fronte a una crisi anche spirituale, la rifondazione, il rilancio economico, produttivo, istituzionale o pesca dentro queste riserve morali oppure per noi sarà tutto più difficile.Il cardinale dice: «La gente non perdonerà a nessuno la poca considerazione verso la famiglia così come la conosciamo: questa è l’Italia!» Quasi un piccolo anatema?Il mancato rispetto della famiglia corrompe la capacità di legare le generazioni attraverso la crescita. L’uomo degli ultimi decenni si riteneva onnipotente, forte solo delle proprie proiezioni soggettive, nonostante vivesse in una cultura come quella italiana che ha fatto della famiglia un perno ineludibile. Dimenticarselo significa andare contro noi stessi.Ci saranno orecchie per ascoltare queste parole?Lo spero. Negli ultimi mesi c’è stato un cambiamento di clima e si è aperta una stagione di speranza. Tuttavia vedo ancora grande disorientamento: in particolare il mondo politico mostra un’insufficiente lungimiranza e scarsa capacità di prendere in mano il testimone che Monti lascerà. E non sarà sufficiente vincere le prossime elezioni, bisognerà cambiare nel profondo».
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