martedì 23 gennaio 2024
Il presidente emerito della Consulta: «Sarà decisiva l’attuazione, che deve avvenire per gradi, senza bulimia. Lo Stato deve poter far valere l’interesse nazionale. Ce l’ha insegnato la pandemia»
Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta

Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta - Imagoeconomica

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«Bisogna vigilare perché non si introduca per legge ordinaria una modifica strisciante della Costituzione» avverte Cesare Mirabelli. Indica un rischio, il presidente emerito della Consulta, non è una constatazione, la sua. Un dovere di vigilanza che diventa però ancor più doveroso in considerazione della bocciatura venuta dal referendum del 2006 per la riforma federalista approvata l’anno precedente dal governo Berlusconi.

Ma l’autonomia è un principio costituzionale.

Il disegno di legge del governo si ripropone proprio di dare attuazione a questa norma della Costituzione. Che promuove le autonomie, ma al tempo stesso garantisce l’unità nazionale, il diritto al godimento dei diritti civili e sociali e alla fruizione delle prestazioni da parte di tutti.

Nel testo finale proprio per questa ragione viene meglio definito il principio dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorino nazionale.

Per fare questo debbono essere assicurate risorse aggiuntive, e non in chiave solo assistenzialistica, alle Regioni più deboli: l’obiettivo è quello di favorire uno sviluppo delle prestazioni in tutto il Paese.

In quale caso, invece, si configurerebbe una modifica strisciante?

La Costituzione, con la riforma del Titolo V prevede che possano essere accordate delle competenze aggiuntive. Ma non si può, con una bacchetta magica, far diventare materie che sono assegnate alla legislazione concorrente, competenza esclusiva delle Regioni. Vanno definite bene quali sono le materie per le quali questo potenziamento di autonomia può avvenire e le modalità. E qui sta il punto più delicato.

Perché?

Perché vi sono materie che non si prestano a una regionalizzazione spinta. Penso alle gradi reti di comunicazione, dell’energia, ma penso anche penso all’istruzione. Possono esistere, certo, aziende di credito di livello regionale, ma la vigilanza deve restare uniforme, e affidata alla Banca d’Italia.

C’è chi ha sostenuto che serviva una norma di rango costituzionale.

Dipende dall’ambito dell’intervento che si fa e dalla saggezza che deve essere ora esercitata, per non debordare. Non vi può essere una dismissione della materie da parte dello Stato, ma una diversa loro definizione. Questa norma diventa un atto di indirizzo nei confronti del governo.

L’attuazione, quindi sarà decisiva.

Si dovrebbe procedere sull’ampliamento delle competenze con dosi omeopatiche, con un sano gradualismo fra le materie e nella gestione delle singole materie, evitando la bulimia di accaparrarsele. E poi la sussidiarietà, che deve essere biunivoca, verso il basso, ma anche verso l’alto. Sarebbe opportuno prevedere un richiamo alla competenza statale, laddove ci sia un preminente interesse nazionale. Ce lo ha insegnato la vicenda della pandemia che ha originato degli scontri furiosi, inducendo la Consulta a intervenire per stoppare tentativi di legiferare in ordine sparso a livello regionale. Serve una norma che permetta di definire queste situazioni, anche in tempi molto rapidi e con modelli di azione non complicati.

Ma il livello delle prestazioni è già squilibrato così: chi controlla, chi garantisce che non vada peggio, da ora in poi?

L’obiettivo deve essere il miglioramento dei servizi ai cittadini, una loro maggiore economicità, non un aggravio di costi o una duplicazione di funzioni. Lo squilibrio già c’è, è vero, ma per superarlo servono, come dicevo, risorse aggiuntive, non si può pensare che ognuno si tenga il suo “bottino”. Lo sviluppo equilibrato del Paese è un interesse comune delle Regioni “ricche” e delle Regioni “povere”, che, se supportate, possono diventare un gran volano di sviluppo per tutto il Paese. Un obiettivo di giustizia ma anche di convenienza, per tutti.




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