mercoledì 18 settembre 2013
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«La necessità di soddisfare il suo desiderio, che è quello di giocare, comporta che il giocatore patologico sia un antisociale, capace cioè di mantenere una freddezza assoluta anche in contesti drammatici. È probabilmente quanto avvenuto nel Bergamasco, anche se, non conoscendo il soggetto, non posso dirlo con certezza assoluta». Non si sorprende più di tanto il professor Enrico Smeraldi, direttore del dipartimento di Psichiatria dell’Ospedale San Raffaele Turro di Milano, sul caso del carabiniere sospeso e denunciato nel Bergamasco.Lei non si stupirà, eppure non trova ci sia qualcosa di agghiacciante nel comportamento di quel militare?Sono uno psichiatra...! Quanto avvenuto è anzi un sintomo da ascrivere a qualcosa di ancora più grave. E che investe molte persone. Per chi soffre di questo disturbo la sola cosa che conta è il suo contesto personale, è il soddisfacimento di un suo bisogno. Tutto il resto, e quindi anche lavoro o legami affettivi, va in secondo piano.A Chiuduno c’era un quadro terribile: morti, feriti, delinquenti in fuga...In quel caso, almeno da quanto si apprende, si è avuta una dimostrazione di come una persona con probabili disturbi di dipendenza, sia riuscita a reggere situazioni molto impegnative, soddisfacendo un suo bisogno. Quello di reperire soldi per giocare.Come si possono aiutare queste persone?Il gioco d’azzardo patologico è un enorme problema anche perché i soggetti coinvolti non sono disponibili a farsi seguire. Loro vogliono continuare a giocare perché così provano piacere. È la situazione contraria a un disturbo ossessivo compulsivo, in cui vi è una costrizione. L’aspetto di fondo, il comune denominatore è che i giocatori patologici sono antisociali caratteropatici.Dunque, non proprio disponibili a percorsi di cura.Bisognerebbe curarli a dispetto della loro volontà. Ci sono stati casi in cui giocatori si sono messi nei guai, anche dal punto di vista giudiziario, e sono poi arrivati nelle mani dello psichiatra. La verità è che non esiste una cura realmente efficace. Né possono servire a molto terapie a base di antidepressivi per chi rifiuta un percorso di riabilitazione.Per loro si può arrivare a parlare di assenza di capacità critica?Non direi, loro non perdono questa capacità. "Semplicemente" questa capacità viene messa in secondo piano rispetto a un interesse superiore, al vantaggio personale che traggono giocando. Diciamolo con chiarezza. È stato creato un problema complesso, difficilissimo da risolvere. Quello che non riesco a comprendere è l’atteggiamento dello Stato.Da quale punto di vista?Con una mano incentiva l’azzardo autorizzando campagne pubblicitarie milionarie. Dall’altro impone ai concessionari di inserire avvertimenti del tipo: «Può causare dipendenza patologica». Insomma, come dire: potreste ammalarvi ma vi diamo il permesso di farlo…Droga, alcolismo e gioco d’azzardo patologico possono dare dipendenze simili?Direi di sì. E, come in tutte le malattie automantenentesi, giocare non è più una scelta ma una necessità. Così come tossicodipendenti e alcolisti "stanno bene" se assumono droghe o se bevono, il giocatore patologico ritiene di star bene quando gioca. In realtà, sta solo allungando la sua dipendenza.
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