sabato 3 agosto 2013
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CAUSE CIVILINon tutto arrivi a processopiù mediazione e informaticaAnche secondo le ultime stime, la pachidermica giustizia civile italiana fa perdere al Paese un punto di Pil, circa 16 miliardi di euro. Un dimezzamento dei tempi dei processi libererebbe 8 miliardi ora sotto la cappa dei procedimenti-lumaca (per intenderci, a fatica il governo Letta ha ricavato qualche settimana fa 1,5 miliardi per gli sgravi all’occupazione giovanile). Il calvario cui sono sottoposti cittadini e imprese è impressionante: per concludere i due gradi del processo civile ci vogliono, in media, 1.514 giorni, più di 4 anni. Se poi si vuole ricorrere in Cassazione occorre mettere in conto altri 34 mesi di attesa, quasi 3 anni. In buona parte, politica, magistrati e avvocati concordano sui motivi: l’Italia è un Paese anomalo perché si ricorre al giudice anche per i mini-litigi condominiali, perché c’è un numero abnorme di avvocati, perché ci sono 5 milioni e mezzo di procedimenti pendenti. Dal punto di vista delle soluzioni possibili, sia la relazione 2013 del primo presidente di Cassazione, sia il documento dei saggi quirinalizi concordano: più ricorso a mediazione e altre forme di soluzione delle controversie non giudiziarie, spostamento del sistema delle notifiche dall’imputato al legale (oggi molti atti sono nulli e da rifare perché, semplicemente, il destinatario non è stato trovato a casa), l’informatizzazione delle banche dati per accelerare le operazioni di cancelleria, vincoli al ricorso in appello per reati lievi e lievissimi. Il governo Letta, tra i primi atti, ha reinserito la mediazione correggendo i rilievi formulati dalla Corte costituzionale, mentre l’ex Guardasigilli Paola Severino ha introdotto un filtro che valuti l’ammissibilità del ricorso alla Corte d’Appello e ha snellito la procedura del rimborso in caso di procedimento che superi . Lungo questa strada molto si può ancora fare per ridurre il gap con l’Europa. (M.Ias.)
CAUSE PENALITempi certi, meno processie assoluzioni inappellabiliAnche nel campo della giustizia penale ci sarebbero delle proposte di buon senso che potrebbero andare a beneficio dell’economia processuale e dell’efficienza dei processi. È già ampiamente condivisa, ad esempio, un’ipotesi di inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado per i reati meno gravi (la Consulta ha però dichiarato incostituzionale una precedente legge che rendeva inappellabili tutte le sentenze di assoluzione). Le indicazioni fornite dalla relazione dei Saggi incaricati da Napolitano sono molte. Altra ipotesi sul campo, l’introduzione di vincoli di tempo all’esercizio dell’azione penale e il contenimento della durata delle indagini preliminari, con una gradazione di tempi che tenga conto delle diverse esigenze investigative in base alla gravità dei reati ipotizzati. Un’altra delle proposte è quella del vicepresidente del Csm, Michele Vietti, di non intraprendere procedimenti per i quali si possano ragionevolmente ritenere insussistenti più i tempi per evitare la prescrizione o, in alternativa, andrebbe prevista l’interruzione dei termini dopo la sentenza di primo grado. Fermo restando il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, tra le possibilità una norma che meglio definisca i presupposti di avvio di un’indagine. Andrebbe insomma evitata la cosiddetta pesca a "strascico", sulla base solo di un’aspettativa o un sospetto, che possono motivare un’azione di polizia, ma non dovrebbero dar adito a iniziative della magistratura cui sono collegati strumenti che limitano la libertà dell’individuo che la legge configura solo, appunto, in presenza di una conclamata notizia di reato. Indicata poi l’adozione di misure volte a disincentivare iniziative difensive meramente dilatorie. Un’altra proposta consiglia di incentivate, specie per i minori, le condotte riparatorie per l’estinzione dei reati lievi e sospesi i processi a carico degli irreperibili (in modo da disincentivare la tentazione di sottrarsi alla giustizia). (A.Pic.)
MODIFICHE COSTITUZIONALISu carriere separate e Csmun conflitto insuperabileTra le riforme costituzionali del ddl del governo affidate al comitato dei 42 componenti della commissione nominata da Letta per riscrivere le regole, il Titolo IV della seconda parte della Costituzione non era previsto. E questo malgrado i saggi nominati da Giorgio Napolitano avessero dedicato quattro pagine del loro elaborato alla materia tanto delicata, su cui insiste il capo dello Stato. Sul capitolo giustizia, però, più volte in Parlamento si sono arenate le trattative tra Pd e Pdl e lo stesso è avvenuto quando a fine giugno (subito dopo la condanna di Berlusconi al processo Ruby), il partito del Cavaliere ha presentato un emendamento (primo firmatario Donato Bruno, ma sostenuto da tutto il gruppo), per modificare la legislazione in materia di toghe. Di fatto, la richiesta principale resta la separazione delle carriere. Uno stravolgimento che – in linea teorica – potrebbe perfino essere inserito senza toccare la Costituzione, ma che di fatto comporterebbe una modifica del Csm. Fare dei pm un ordine a parte rispetto ai magistrati giudicanti significa infatti intervenire sull’organo di autogoverno dei giudici. Si era pensato alla creazione di un organismo con una maggioranza di laici. Ma l’intero pacchetto è stato respinto al mittente dal Pd, che con Anna Finocchiaro ha bocciato senza appelli l’inserimento di un tema che poteva costituire un salvacondotto per il leader del Pdl. Il tema, però, potrebbe rientrare dalla finestra nel caso in cui il Parlamento dovesse optare per una riforma presidenziale. In questo caso, infatti, dovrebbero essere riconsiderati i poteri del capo dello Stato, che – per la Costituzione – è il presidente del Consiglio superiore della magistratura. In questo caso, dunque, il capitolo della Giustizia tornerebbe nel pacchetto in Parlamento. Il problema, però, non sarebbero i tempi della riforma, che in 18 mesi potrebbe comunque vedere la luce, quanto piuttosto, ancora una volta, i veti incrociati. (R.d’A.)
INTERCETTAZIONII saggi: bisogna utilizzarleper cercare prove, non reatiNella relazione dei "saggi" nominati dal presidente Napolitano il 30 marzo scorso - e consegnata il 12 aprile - c’è anche una proposta per riformare il sistema delle intercettazioni. Nel testo - stilato da Mario Mauro, Valerio Onida, Gaetano Quagliariello e Luciano Violante - si propone nell’ambito della giustizia penale una «migliore definizione sul piano legale dei presupposti» in base ai quali le Procure avviano le indagini, «con particolare attenzione per gli strumenti investigativi più invasivi nei confronti dei diritti fondamentali come, ad esempio, le intercettazioni delle conversazioni». Deve infatti essere «resa cogente la loro qualità di mezzo per la ricerca della prova, e non di strumento di ricerca del reato». Non solo: i "saggi" sottolineano che «occorre inoltre porre limiti alla loro divulgazione, perché il diritto dei cittadini a essere informati non costituisca il pretesto per la lesione dei diritti fondamentali della persona».
CARCERIAllarme sovraffollamentoSvuotacarceri al via Siamo maglia nera d’Europa. Nelle celle italiane, infatti, ci sono 20mila detenuti in più rispetto al numero massimo consentito. Sono, cioè, circa 65mila persone stipate in strutture che potrebbero ospitarne al massimo 47mila, con il 40% in attesa di giudizio. Per le inumane condizioni degli istituti penitenziari (il nostro tasso di affollamento è al 142%), l’Italia è stata condannata a gennaio dalla Corte europea per i diritti umani. Dopo che a maggio il ricorso italiano è stato rigettato, adesso il nostro Paese ha un anno per risolvere la situazione dei penitenziari, in cui vivono 8 persone in celle ideate per 4, quando lo spazio minimo è di almeno 9 metri quadri a detenuto. Un primo tassello per risolvere la situazione è arrivata a giugno con l’approvazione del decreto Svuotacarceri che prevede di scontare ai domiciliari gli ultimi 18 mesi di detenzione e aumenta il ricorso anche della "messa alla prova" (già esistente per i minorenni). Già approvato al Senato, ora è all’esame della Camera.
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