venerdì 15 aprile 2022
Scontro aperto sulla decisione della Regione di stanziare 400mila euro per sostenere le gravidanze delle donne in difficoltà economica. Femministe e opposizioni: «Una mortificazione
Il Piemonte sostiene le mamme in difficoltà

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Sull’aborto in Piemonte è – di nuovo – scontro aperto. Dopo le polemiche sulla decisione della Regione di non permettere la somministrazione della pillola Ru486 fuori dagli ospedali e quella di agevolare le associazioni pro life nell’apertura di sportelli nei nosocomi, motivo del contendere è ora il “fondo vita nascente”: 400mila euro per la «promozione e realizzazione di progetti di tutela materno-infantile». Cioè per impedire che la dolorosa scelta dell’interruzione di gravidanza possa essere determinata soltanto da ragioni economiche. Apparentemente qualcosa su cui tutti dovrebbero essere più che d’accordo. In realtà lo stanziamento regionale, promosso da Maurizio Marrone – che è assessore alle Politiche sociali della giunta di Alberto Cirio – ha scatenato la rivolta delle opposizioni e delle associazioni femministe.
Il cuore della questione, a ben vedere, è la completa realizzazione della legge 194: tutti dicono di essere d’accordo, salvo poi scontrarsi sul come, quando e dove. «Il nostro obiettivo – dice Marrone – è garantire il vero diritto di scelta della donna, che può anche essere la scelta della vita, intervenendo a sostegno delle donne in situazioni di fragilità sociale». I fondi stanziati serviranno così per sostenere progetti «presentati dalle realtà e associazioni accreditate presso le Asl, che dopo aver predisposto un programma dettagliato delle attività, dovranno poi rendicontare le spese sostenute per le medesime». Dovrebbero riguardare, queste le intenzioni della Regione, 100 bambini: «Bambini che altrimenti non sarebbero venuti al mondo a causa dei problemi economici delle loro madri» ribadisce l’assessore.
Da qui in avanti è il putiferio. «Demagogica e senza senso» è la definizione che dell’iniziativa viene data immediatamente dalla rete di sigle "Più di 194 voci" che chiede di investire quei soldi «in welfare vero». Anna Poggio, della segreteria regionale Cgil Piemonte, chiarisce: «Sarebbe necessaria una politica che si occupi del sostegno alla genitorialità, di consultori pubblici che funzionino per le esigenze delle donne in tutto l’arco della propria vita». E la polemica si allarga oltre il consiglio regionale. Nadia Conticelli, capogruppo Pd in Comune a Torino, parla della necessità di riportare il tema «nei giusti ambiti di autopromozione e non di mortificazione» della donna. Come se i fondi stanziati per sostenere una maternità la donna (e le donne) mortificassero. Unica voce fuori dal coro, almeno in parte, quella del Movimento 5 Stelle con il capogruppo Andrea Russi, che precisa: sì ai contributi «ma dovrebbero essere destinati direttamente alle donne e senza intermediari, come avviene a livello nazionale con i vari bonus». Lo stesso poi chiede che la Regione stanzi «maggiori risorse per il potenziamento dei consultori e dei servizi dedicati alla salute della donna».
Di fronte alle polemiche, Marrone si dice «stupito perché di fatto abbiamo cercato di dare attuazione alla 194 e non di limitare la libertà di autodeterminazione delle donne». Mentre Claudio Larocca, presidente Federazione regionale dei Centri di Aiuto alla Vita piemontesi, esprime da un lato «grande soddisfazione» per il nuovo fondo, ma aggiunge: «Ci auguriamo segua l’impegno concreto di tutti i soggetti coinvolti e che, per una volta, il sostegno alla maternità in situazioni difficili non diventi terreno di scontro ideologico». Lontano dalle stanze della politica, nella realtà, il sostegno economico alle donne indigenti in gravidanza è infatti decisivo per il destino dei loro figli, come dimostrato dal Progetto Gemma, lo strumento ideato dal Movimento per la Vita negli anni Novanta proprio per “adottare” le madri in difficoltà. E che non si tratti di assegni staccati a vuoto, o semplicemente di «mancette» come sostengono in queste ore le associazioni femministe piemontesi, lo chiariscono gli operatori. Maria Clara Zanotto, Responsabile S.S.D. consultori familiari e pediatrici Area Sud di Torino della Asl, spiega: «A ogni donna che richiede l’interruzione volontaria della gravidanza viene sempre offerto dai nostri servizi un vero e proprio percorso di presa in carico che prevede, in particolare, non solo di fornire tutte le informazioni utili sugli interventi possibili a sostegno della gravidanza e dopo il parto, ma anche la messa in campo di azioni concrete che comprendono collaborazioni strutturate con associazioni del terzo settore». Le fa eco Teresa Bava, presidente del Cav L’Annunciazione di Giaveno (alle porte di Torino): «Chi fa speculazioni politiche dovrebbe venire a toccare con mano la realtà che è fatta di casi particolari, uno diverso dall’altro. È giusto che l’uso di questi soldi sia sottoposto a controlli severi. Dire però che basta pagare le mamme perché non abortiscano è quantomeno una sintesi eccessiva di situazioni complesse e drammatiche che possono essere risolte con l’aiuto coordinato di molte persone». Da questo punto di vista il fondo regionale è solo l’inizio: «Occorre fare ancora di più soprattutto a livello di coordinamento e collaborazione fattiva fra enti e associazioni».

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