venerdì 10 gennaio 2025
Parla Parisa Nazari, esponente di punta del movimento di protesta "Donna vita libertà" in Italia: l'attivista curda potrebbe essere impiccata presto
Pakhshan Azizi

Pakhshan Azizi - ANSA / Amnesty International

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Nelle stesse ore in cui Cecilia Sala rientrava in Italia sana e salva, la Suprema Corte della Repubblica islamica consegnava la sua sentenza esecutiva a un’altra donna: confermata la pena di morte per impiccagione. Pakhshan Azizi, 40 anni, assisteva i profughi nei campi del nord della Siria e una volta rientrata in Iran, nell’agosto 2023, è stata arrestata con l’accusa di appartenere a un gruppo armato. Ora attende il boia nel carcere di Evin, a Teheran. Anche Farzaneh è a Evin: era la compagna di cella della giornalista italiana, con lei ha condiviso lunghe e angosciose giornate. E a lei Cecilia Sala ha rivolto pensieri profondi, confessando di provare un «senso di colpa» per chi è rimasto nell’inferno della prigione di Evin. A tutte loro pensa anche Parisa Nazari, 50 anni, farmacista iraniana in Italia dal 1996 e tra le più attive rappresentanti nel nostro Paese del movimento “Donna vita libertà”, esploso dopo la morte nelle mani della polizia della giovane Masha Amini, nel settembre 2022.

Parisa Nazari

Parisa Nazari - P.N.

Parisa Nazari, le sofferenze di Cecilia Sala nel carcere di Evin sono le stesse di centinaia di donne, che in molti casi non conosceranno presto la libertà… Che segni lascia la prigionia?
Conosciamo le condizioni della detenzione e quindi abbiamo un’idea di quello che ha passato Cecilia Sala. Le due iraniane vincitrici del Premio Nobel per la pace, Shrin Ebadi (nel 2003) e Narges Mohammadi (nel 2023) lo hanno descritto molto bene. In “Più ci rinchiudono, più diventiamo forti” (Mondadori, 2024) Narges racconta la “tortura bianca” a cui lei e le altre compagne di prigionia a Evin sono state sottoposte. È una pressione psicologica fortissima. La luce sempre accesa, nulla a scandire le ore, si perde la cognizione del tempo, e solo il cibo che ti portano fa capire se è mattina o sera. Ma sono certa che Cecilia Sala riuscirà a superare l’esperienza grazie all’affetto della sua famiglia e alla solidarietà degli italiani. Per coloro che rimangono lì è più difficile.

C’è la possibilità di resistere a questo orrore?
Sì, con grande coraggio le detenute della sezione 209 del carcere di Evin, dove sono rinchiuse le dissidenti politiche, ogni martedì inscenano proteste contro la pena di morte.

Perché il martedì?
Perché il giorno dopo, il mercoledì, normalmente avvengono le esecuzioni capitali. Le detenute osservano lo sciopero della fame, gridano slogan contro le condanne a morte. Questo ha delle conseguenze, ma loro non si fermano.

Anche fuori dal carcere il movimento “Donna vita libertà” non si ferma. Notizie arrivano anche in Italia, vediamo video di donne che ballano e cantano...
Sì, la risposta delle donne iraniane all’oppressione è gioiosa. In contrasto con gli abiti scuri e tristi che il regime vuole obbligarle a indossare, milioni di donne non portano il velo e si vestono con abiti colorati.

La Nobel Narges Mohammadi è ancora agli arresti domiciliari?
Sì, si sta cercando grazie ad alcuni certificati medici di prolungare questa condizione perché ha una situazione medica compromessa.

Si può fare il giornalista in Iran?
Se vuoi fare un giornalismo libero rischi continuamente di essere arrestato. Ma vorrei dire che Cecilia Sala non è stata arrestata perché faceva la giornalista, bensì perché doveva essere usata come merce di scambio. I giornalisti in Iran subiscono minacce, sono costretti a fuggire all’estero o a cambiare mestiere. Molti sono in carcere, ad altri è impedito perfino di scrivere sui social. La stretta contro chi produce pensiero è fortissima.

Il 16 dicembre è stata sospesa la nuova legge che inaspriva le pene per chi non veste in maniera appropriata. È un buon segno?
L’inasprimento delle pene per comportamenti già sanzionati sarebbe stato un colpo troppo duro nei confronti delle centinaia di migliaia di donne che escono di casa senza velo pagando un prezzo altissimo. Una mia amica cardiochirurga ha scelto di togliere il velo e non può più operare. Registe di fama mondiale rinunciano a presentare i loro film in Iran pur di non portare più il velo. Questa legge avrebbe avuto effetti devastanti e oggi la Repubblica islamica non ha la forza per mettersi contro la società civile. Ma attenzione: non è un merito del governo “riformista”, ma semplicemente un prendere atto che dopo la caduta di Bashar al-Assad in Siria non era il caso di affrontare in questo modo le donne iraniane.

Il coraggio delle donne iraniane è leggendario: nei giorni scorsi è circolato il video di una ragazza che strappava il turbante a un religioso. Segno che la disobbedienza civile sta facendo breccia?
La disobbedienza civile esiste da molti anni, ma dopo la morte di Mahsa Amini e l’inizio del movimento “Donne vita libertà” il regime si è reso conto che l’apparato di polizia morale non può affrontare migliaia di donne “disobbedienti”. Per questo le donne si sentono più forti: nonostante ci siano ancora tantissime sanzioni, sono sempre di più quelle che non portano il velo e ne affrontano le conseguenze.

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