mercoledì 14 agosto 2013
Raccolgono la frutta in 650. Quasi tutti in regola. Caritas diocesana e «Papa Giovanni XXIII» in prima linea per rifornire di viveri il villaggio. Il vescovo Guerrini: giusto ricercare la collaborazione tra le istituzioni. Siamo per la legalità, ma dalla parte dei più deboli.
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La fila di tende e baracche corre lunga disegnando un rettilineo. Mai stata così lunga, molto più di un anno fa quando un temporale spazzò via le tende creando l’emergenza. Un meccanico aggiusta le bici mentre su un fuoco di legna portata dal Po cuoce un pentolone di pastasciutta nella baraccopoli estiva degli africani. Che a Saluzzo da anni raccolgono la frutta, l’oro di questo angolo della "provincia granda".La Caritas aveva ragione, i raccoglitori quest’anno sono raddoppiati, complici crisi e chiusura dei centri dell’emergenza Nordafrica. Metà dei braccianti è gente nuova, molti vengono da Torino. E la tensione cresce dopo la manifestazione dei migranti la scorsa settimana quando il Comune ha tagliato una tubatura abusiva. La cittadina tace, ma accusa amministratori e volontari di pensare solo a «loro». Senza i quali, solita storia, l’economia della frutta e di Saluzzo morirebbe. Sono almeno in dieci ad aspettare il pasto, l’unico della giornata, che cucina Keita. Viene dal Mali, ha 32 anni, è sbarcato nel 2006 a Trapani ed è uno dei quattro "cuochi" che preparano il cibo sotto il cielo di periferia di una delle capitali italiane della frutta. Sbarcato 6 anni fa a Trapani da un barcone partito dalla Libia, operaio licenziato da un’azienda bresciana, precisa che gli abitanti della baraccopoli d’estate sono 450 e ben organizzati. C’è anche il barbiere e una lista di arrivi e partenze. Zero finora le denunce. «Abbiamo quasi tutti un contratto regolare – aggiunge – a chiamata a 5,5 euro all’ora».Significa che magari sei assunto un mese, ma lavori solo quando serve. C’è chi si ferma pochi giorni e riparte, chi è in cassa integrazione e arrotonda. E chi fa il giro d’Italia del bracciantato. «Il resto son disoccupati – aggiunge Michele Mellano, responsabile della Coldiretti locale – che lavoravano in aziende chiuse per crisi. I migranti sono i primi a venire licenziati. Poi ci sono i rifugiati che hanno urgenza di guadagnare e c’è stato un passaparola impressionante». Con la tendopoli i costi sono prossimi allo zero, si paga solo il biglietto del treno. Insomma, crisi, lavoro e disperazione accampati sotto le Alpi. Li vediamo assieme al vescovo Giuseppe Guerrini e con Paolo Ramonda, successore di don Benzi alla guida dell’associazione "Papa Giovanni XXIII" che qui collabora con la Caritas diocesana nell’accoglienza degli stagionali arrivati da tutta Italia, rifornendoli quotidianamente di viveri, distribuendo loro 120 bici per andare in campi distanti anche chilometri. Sono soprattutto maliani, ivoriani, burkinabè, in regola con permessi di lavoro o umanitari. Un terzo dei braccianti al foro Boario se ne sta sdraiato all’ombra su sedie e materassi recuperati nella vicina discarica. Manodopera che entra in gioco a rinforzare le squadre per cogliere le pesche.«Per noi – conferma un gigante burkinabè detto Bobouline – cinque giorni di lavoro sono già tanti, mandiamo la metà dei guadagni in Africa. Vengo da Bologna, facevo il falegname, sono disoccupato e l’anno prossimo mi scade il permesso di lavoro. Qui non ho ancora fatto un giorno e come me tanti. Ma sono sicuro di trovare dopo Ferragosto. Ci spero, ho moglie e tre figli da sfamare».I lavoratori erano 150 a giugno, poi il comune ha fatto uno sgombero simbolico, ma l’accampamento è ricresciuto e nessuno ha riprovato a mandarli via. «Sono quasi raddoppiati – sostiene il direttore della Caritas, don Beppe Dalmasso – e per fortuna quest’anno la Coldiretti ha deciso di investire risorse significative per mettere a disposizione 104 posti letto per i braccianti in alcuni container. Altri 40 sono stati predisposti dalla Caritas, 15 dal Comune di Saluzzo, 15 dal parroco di Scarnafigi e altri braccianti sono accolti nei comuni di Revello e Costigliole. Questi, sommati all’accampamento fanno 650 persone a metà agosto, apice della raccolta. Abbiamo sollecitato le istituzioni per organizzare l’accoglienza, ma le lungaggini burocratiche e forse la volontà di non strutturare nulla ci hanno portato a gestire un’emergenza. Mi chiedo cosa succederà al primo temporale di queste povere baracche».L’anno scorso l’emergenza costò l’attribuzione a Saluzzo del titolo di Rosarno del Nord. Ma ci fu anche chi parlo di «anti-Rosarno» per la prontezza delle istituzioni di porre rimedio all’emergenza. Qui non c’è mafia a sfruttare e i caporali sono pochi. Semmai si misura la distanza delle istituzioni da Roma e una certa paura di andare fino in fondo nell’accoglienza che nell’urna non paga mai per la cultura radicata della guerra tra poveri, noi contro loro. Eppure la Caritas e le associazioni "Papa Giovanni" ed "Emmaus", che nel tavolo provinciale si sono sentite incolpare dal solito leghista di trattare troppo bene i migranti, avevano chiesto l’autorizzazione ad allestire e gestire un campo di emergenza provvisorio, ma il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza si è detto contrario. Morale, la tensione può sempre esplodere per la situazione igienico sanitaria precaria, col caldo e pochi bagni. Paolo Ramonda rilancia il progetto: «L’unica è fare fronte comune con le istituzioni per l’emergenza di quest’anno, ma organizzare l’anno prossimo un campeggio solidale autogestito».La "Papa Giovanni" ha intanto chiesto invano di poter collocare a proprie spese due bagni chimici nell’accampamento. No anche alla richiesta della Caritas di creare, sostenendone le spese, un collegamento con la rete idrica, come l’anno scorso dopo che un centinaio di migranti ha organizzato una protesta per l’acqua sette giorni fa bloccando il traffico per ore. Mai visto a Saluzzo. Manifestazione pacifica, ma tesa, sciolta quando il sindaco ha assicurato che avrebbe incontrato una delegazione. Poi è stata aperta almeno una fontanella. «Abbiamo contattato il ministro Kyenge – allarga le braccia Marcella Risso, assessore ai Servizi sociali – che ci ha promesso che verrà qui e il vice ministro dell’Interno Bubbico. Ma forse siamo troppo lontani da Roma. La Protezione civile non ha risorse e neppure noi. Vogliamo far rispettare la legalità continuando il dialogo con il volontariato».La Chiesa di Saluzzo sta nel mezzo. «Dobbiamo ricercare la collaborazione con le istituzioni – ribadisce il vescovo Giuseppe Guerrini – nel rispetto dei ruoli. Siamo per la legalità, ma siamo dalla parte dei più deboli. Bisogna cercare soluzioni che garantiscano la dignità dei lavoratori». Si spera che almeno la pioggia sia clemente con la baraccopoli d’estate.
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