venerdì 21 settembre 2012
A Saluzzo, nel Cuneese, patto tra Caritas e istituzioni per aiutare 350 stagionali che vivono da mesi in strada. La comunità ecclesiale ha fornito anche 120 biciclette, riparate dai volontari lo scorso inverno, con cui i lavoratori possono raggiungere i frutteti più lontani.
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​Le tante scarpe da ginnastica allineate davanti al tendone al Foro Boario significano che oggi non si raccolgono le mele rosse Igp di Saluzzo. Qualcuno dei braccianti prepara la pasta sotto la tenda-cucina, c’è chi si improvvisa barbiere. Altri sono riuniti a discutere il da farsi. Indossano tutti pile e giubbotti per scaldarsi dopo le notti trascorse in sacco a pelo, perché anche se è mezzogiorno e c’è il sole, il freddo non se ne va. Nell’accampamento di fortuna sorto ai primi di settembre la situazione è tranquilla, i carabinieri controllano quotidianamente preoccupati della legalità e delle persone. I migranti sono accampati dentro quattro grandi tende portate da privati e Croce Rossa. Dormivano tutti all’addiaccio, poi le piogge di fine agosto - tempo di sagra e di fiera della meccanica agricola al Foro - hanno allagato i cartoni dove si riparavano i 150 arrivati per ultimi scatenando le proteste pacifiche dei lavoratori. Allora la Croce Rossa ha installato le tende. Al Foro si è fermato il nuovo popolo dei braccianti stagionali, ingrossato dagli sbarchi del 2011 dalla Libia e dalla povertà scatenata dalla crisi. Gente che gira in continuazione le campagne italiane per sopravvivere, un’immigrazione interna che si muove su nuove rotte attratta dalla paga, che qui arriva a 45 euro al giorno. Tutti senza dimora perché non possono permettersi affitti, ma in regola. Arrivano in prevalenza dall’Africa subsahariana, circa la metà ha un permesso sussidiario triennale, uno su cinque per motivi umanitari, il resto per un lavoro ormai perso. È il popolo delle arance siciliane e dei pomodori, che gira da Castelvolturno e da Rosarno e ora arriva fino al ricco Nord. Ma Saluzzo, va detto, non è Rosarno perché non c’è la mafia che sfrutta e spara a chi alza la testa. E nemmeno i caporali. Non ancora, almeno, se si interviene in fretta. Mohamed arriva al Foro su una delle 120 bici usate, riparate in inverno dalla Caritas diocesana, in prima linea da tre anni, e prestate ai braccianti con tanto di tesserino per andare e tornare dalla campagna a sudarsi soldi che in parte vanno per mangiare e il resto per aiutare la famiglia a casa. Un frutteto dista fino a dieci chilometri e c’è chi ci va a piedi. Ora sono rimasti in 100.«Una cinquantina sono partiti perché i contratti stanno scadendo - spiega Mohamed, 25 anni, maliano da tre anni nel Belpaese - ed entro il 9 ottobre, quando finirà la raccolta delle mele e delle prugne partiremo verso Campania e Calabria». Arrivati fin da marzo in cerca di lavoro in uno dei frutteti più ricchi d’Europa, i migranti in agosto erano più che raddoppiati rispetto al 2011. Non se lo aspettava nessuno. «Più di 350 senza dimora sono uno tsunami in una realtà di 17 mila abitanti – commenta il direttore della Caritas diocesana don Beppe Dalmasso, – nessuno si aspettava questo aumento esponenziale. Nel 2010 arrivarono i primi dieci africani, l’anno scorso erano già diventati 180, quest’anno più del doppio. Molti sono tra quelli sbarcati a Lampedusa, altri sono stati lasciati a casa dalle fabbriche. Noi ci siamo mossi con il comune, che ha messo in campo tutte le risorse possibili. Ma il bisogno è davvero grande». Insieme al comune di Saluzzo e ai piccoli centri limitrofi interessati dalla raccolta della frutta e alla Coldiretti è scattato un piano per accogliere 170 persone. Ne sono rimasti fuori i 150 arrivati a estate inoltrata e finiti al Foro Boario. Eppure a fine marzo il vescovo Giuseppe Guerrini aveva chiesto l’intervento non solo dei comuni, ma di tutti gli enti locali. «La Caritas lavora per l’accoglienza e cerca di fare la sua parte per sensibilizzare – spiega il vescovo – tuttavia la nostra è un’attività sussidiaria, non possiamo sostituirci alle istituzioni».Insieme alla comunità "Papa Giovanni" di don Benzi, la diocesi ha affittato un capannone trasformandolo in un ordinato centro di prima accoglienza maschile che offre a 50 persone – tutte regolari –  un tetto, docce, un letto e un pasto caldo la sera. E poi distribuisce a tutti alimenti e vestiti donati da parrocchie e benefattori.«Questa è una terra solidale – ribadisce Guerrini, che spesso incontra gli ospiti – e i migranti hanno molta dignità». Come Blaise, 53 anni, che viene dal Benin. Quest’estate ha lavorato poco. «Ho trovato un contratto con una piccola azienda, ma non ha più bisogno. Ho il permesso di soggiorno, sono in Italia da tre anni. Sono falegname, lavoravo in un laboratorio a Vercelli, poi in primavera hanno chiuso. Mi hanno parlato di Saluzzo, sono arrivato a giugno e qui ho guadagnato 1.000 euro. Metà li ho spediti a casa ai miei tre figli. Ora cerco un lavoro per il biglietto di ritorno in Benin». Il sindaco Paolo Allemano, medico alla guida di una giunta di centrosinistra, ha dovuto incassare le accuse di razzismo. Lui che fa i turni per tenere aperte le docce comunali con assessori e dipendenti.«Altro che Rosarno – sbotta – se vengono qui in tanti è perché c’è lavoro pagato bene. Abbiamo fatto il possibile, qui il tessuto è sano, altro che razzismo». Per l’anno prossimo comune e Coldiretti vogliono aprire un campus con assistenza sanitaria per i braccianti stagionali in un capannone periferico dismesso. La Lega ha già sollevato obiezioni. C’è ancora tempo per realizzare un’accoglienza dignitosa. L’emergenza di Saluzzo non deve ripetersi.
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