
«Un leader vero ha carisma, e riesce ad essere empatico nei rapporti umani. Da quello si distingue un capo vero, e Franco Marini lo era». C’era il pienone all’istituto Sturzo, per ricordare Franco Marini a 4 anni dalla sua scomparsa. E nelle parole di Pierferdinando Casini c’è l’amaro paragone con i leader attuali che, nel prendere le decisioni, sostiene, «si confrontano solo con sé stessi. Mentre gente come Rumor, Fanfani. Andreotti, trovava il tempo per discutere ore con noi, giovani di allora». Marini, che veniva dalla scuola di Carlo Donat Cattin, era anche lui così. Non un uomo solo al comando, non lo fu né alla guida della Cisl, né come segretario del Partito popolare, o nella Margherita dove traghettò convintamente la componente popolare. E, come sostiene Pierluigi Castagnetti, suo successore alla guida del Ppi, «quando qualcuno non c’è più, gli anni passano, e cresce la voglia di ricordarlo, vuol dire che qualcosa ha lasciato». Un patrimonio politico e umano da riscoprire nella sua attualità. Questo incontro (“Franco Marini e la sinistra sociale”), moderato da Andrea Covotta, direttore di Rai Quirinale, è anche un gesto di gratitudine dei suoi collaboratori “storici”. «Concepiva la politica come impresa collettiva», dice Guelfo Fiore, che fu suo portavoce; e poi Giorgio Merlo, che gli fu al fianco nella corrente democristiana di “Forze Nuove”; Nicodemo Oliverio, che collaborò con lui nell’organizzazione del Ppi prima, e della Margherita poi.
Un “Pertini mancato”, per pochi voti, che avrebbe portato al Quirinale lo stesso piglio popolare e anche la pipa. «Sarebbe stato un ottimo presidente», assicura l’ex segretario della Cisl Luigi Sbarra, al quale spetta il compito di ricordarlo alla guida del sindacato fondato da Giulio Pastore.
Uomo di relazioni umane ma sempre rispettoso degli altri. Casini ricorda un particolare emblematico. Quando Marini, da presidente del Senato, incaricato di formare il governo, era informato che l’ex presidente della Camera era ormai in rotta con Silvio Berlusconi: «Volle parlarmi, sapeva che i nostri voti potevano essere decisivi per la riuscita del suo tentativo. Ma quando gli spiegai che, pur volendo, non potevo votarlo, essendo stato eletto con Berlusconi, senza almeno un passaggio elettorale, lui non mi forzò, ebbe rispetto».
Ma da buon abruzzese era capace anche di reazioni dure, per sancire un disaccordo. Da “lupo marsicano” si trasformava in leone: più d’uno evoca i suoi “ruggiti”, a marcare delusione, indignazione. Dario Franceschini ricorda quando, essendo l’ex ministro della Cultura già designato per succedergli alla segreteria del Ppi, Marini gli chiese a un certo punto di rinunciare, perché si andava su Castagnetti. Gli replicò polemico: «Tu come avresti reagito se, indicato già per la segreteria della Cisl, improvvisamente ti fossero venuti a dire che avevano cambiato idea?». Marini non apprezzò, e la reazione, fu appunto un “ruggito” dei suoi. «Era un realista, anche se molti scambiano il realismo con il cinismo», dice Franceschini con chiaro riferimento alle tante accuse piovutegli addosso per aver immaginato, in una recente intervista, una possibile via d’uscita per le opposizioni divise nell’andare al voto ognuna per conto suo, e mettersi d’accordo dopo.
Ma Castagnetti, che poi fu il successore di Marini, preferisce delle due doti che gli vengono attribuite («concreto» e «pragmatico») tener buona solo la prima, «perché pragmatico spesso lo si dice di coloro che si piegano a tutto, mentre lui era uno che voleva piegare i fatti alle sue idee, non il contrario. Un uomo tutto di un pezzo, un hombre vertical, come si dice. Allergico alle “discepolanze”, con la sola eccezione di Giulio Pastore». Nella sua doppia esistenza, fu «un sindacalista attento alla politica e poi un politico attento alla realtà sociale». E questo gli diede una marcia in più in entrambe le dimensioni. Decisivo il suo posizionamento nel partito popolare, prima nel portare alla segreteria Buttiglione, poi nel fare da ago della bilancia in una scissione dai numeri assai contesi nell’esito finale. Lui, ricorda Castagnetti, spiegava il suo cambio di orientamento con l’accettazione, avvenuta da parte di Buttiglione, dell’alleanza anche con gli eredi diretti del fascismo. «Pastore mi ha raccontato che cos’era il carcere fascista e io non ci ho dormito la notte».
Castagnetti infine cita alcuni dati della realtà italiana odierna: «I salari medi scesi del 2,9% dal 1990 al 2020; i 5 milioni e 800mila italiani in povertà assoluta; l’11,5% di lavoratori dipendenti, e parlo di lavoratori dipendenti, a rischio povertà. Immaginare che cosa avrebbe da dire, oggi, una persona che non c’è più è sempre operazione azzardata. Ma non è difficile immaginare che, di fronte a numeri come questi, lui ci avrebbe detto: “Vuoi tornare a vincere? Occupati di queste cose”».