martedì 4 novembre 2014
A Caserta sgominato clan di estorsori: 34 camorristi arrestati. Nell'inchiesta anche l'impresa che costruiva la parrocchia e i locali di Santa Maria della Chiesa a Maddaloni. Ma la ditta non pagò.
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Non si fermavano davanti a nulla. Nemmeno davanti al cantiere di una nuova chiesa voluta da anni dai fedeli di Maddaloni. Anche se non furono fortunati con la parrocchia, perché la ditta non pagò. Dopo circa cinque anni di indagini i camorristi sono stati tutti arrestati. La polizia di Caserta infatti ha sgominato il clan Belforte che controllava la zona di Maddaloni e Valle di Suessola, nella immediata periferia di Caserta, arrestando 34 persone. Era un clan scientifico, il gruppo dei Belforte (originari del marcianisano, a pochi chilometri dal capoluogo) e non tralasciava nulla: le estorsioni erano a tappeto. Tra le vittime anche fornitori di calcestruzzo e pozzolana, distributori di carburante, aziende di trasporto, commercianti ortofrutticoli, negozi di abbigliamento, pasticcerie, panifici e numerosi bar, tra cui quello all’interno dell’ospedale civile di Maddaloni.  «Intere strade, rioni e frazioni di Maddaloni e dintorni – scrive il gip Maria Vittoria Foschini nell’ordinanza di arresto – vengono battute dalle vetture in uso agli associati (i camorristi, ndr) per chiedere il pizzo a ogni esercizio commerciale e a ogni artigiano». Nel caso dell’estorsione all’impresa che costruiva la nuova parrocchia e i locali di Santa Maria Madre della Chiesa a Maddaloni, il tre agosto 2010, quando vescovo era da poco divenuto monsignor Pietro Farina - poi prematuramente scomparso - gli indagati Vittorio Lai e Francesco Merola (entrambi finiti in cella), avvicinarono il furgoncino della Nacca Costruzioni che stava entrando nel cantiere con tutti gli otto muratori a bordo. «È inutile che scendiate – dissero gli estorsori – vediamo di non far succedere nessun guaio, girate il furgone e non riprendete i lavori se prima non siete andati a mettervi a posto con A’ Pichescia (il soprannome del capoclan Giuseppe Martino)». Le minacce furono ripetute più volte, ma il titolare, Pasquale Nacca, non pagò il pizzo e collaborò nello stesso mese di agosto del 2010 con i suoi operai per identificare i camorristi. Il suo appalto aveva un valore di circa 300mila euro; l’importo complessivo dei lavori per la chiesa era di due milioni, finanziato per tre quarti dalla Conferenza episcopale italiana e per il restante quarto direttamente dai fedeli. «Mai scendere a compromessi. Era questa la linea data dal mio predecessore, lo scomparso monsignor Pietro Farina, nei confronti della criminalità – spiega il vescovo di Caserta, monsignor Giovanni D’Alise –. È questo il messaggio che ho raccolto in curia, essendo arrivato in diocesi solo da sei mesi e non conoscendo quindi l’episodio dell’impresa minacciata dalla camorra che stava costruendo la parrocchia di Santa Maria Madre della Chiesa a Maddaloni. Ed è la linea che ho ribadito di fronte a Papa Francesco a luglio scorso durante la sua visita a Caserta e che intendo perseguire in diocesi. Un forte plauso quindi alla magistratura e alle forze dell’ordine per il loro lavoro». A far cadere il clan è stato, insieme al lavoro investigativo della polizia di Caserta, il pentimento di due personaggi di rilievo del clan: Antonio Farina e Nicola Martino. Invece è stata scarsa la collaborazione delle vittime, molte delle quali convocate in Questura hanno negato di aver pagato o addirittura di essere state avvicinate.
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