Il presidente dell’Ordine dei medici di Piacenza, Augusto Pagani. - .
«Devo passare da un paziente che sta male. So che molti colleghi non vanno più a domicilio, io sono fatto così. Mi sono procurato i dispositivi di protezione da solo. Bisognerebbe essere in due a metterli, ma...». Il giovane medico di famiglia ha il volto tirato e gli occhi di chi non riposa da tempo.
È uno dei tanti sanitari piacentini – in ospedale come sul territorio – che hanno ben presente, a un mese dall’allarme coronavirus scattato nella vicina Codogno, di rischiare molto. Perfino la vita. È accaduto al dottor Giuseppe Borghi, 64 anni, residente in città ma in servizio a Casalpusterlengo. O al dottor Giuseppe Maini di Castel San Giovanni e al dottor Abdessattar Airoud, siriano di Aleppo, attivo tra Rivergaro e Podenzano, entrambi di 74 anni, che nonostante fossero in pensione non hanno smesso di rispondere alle chiamate dei loro assistiti. Quanti siano i sanitari positivi nel Piacentino il presidente dell’Ordine dei Medici dottor Augusto Pagani non è in grado di dirlo. L’ultimo dato dell’Azienda Usl parla di un centinaio, «ma temo siano molti di più e a noi, come altrove, non viene comunicato».
Con gli altri presidenti degli Ordini dell’Emilia-Romagna ha chiesto con forza al governatore Bonaccini che la categoria venga tutelata con adeguati dispositivi e sottoposta a tampone. «Non chiediamo che siano controllati prima i sanitari per una forma di privilegio – chiarisce – ma perché, se mancano loro, chi curerà i malati?». E mentre a livello nazionale parte la campagna di reclutamento straordinaria di medici e infermieri (l’Ausl piacentina ne aveva già assunti una trentina con contratti libero professionale), c’è una lista di 35 professionisti che, rispondendo all’appello lanciato dal dottor Pagani a inizio marzo, sono pronti a dare il loro contributo volontario.
Solo che finora non è stato possibile trovare una formula, anche assicurativa, per inquadrarli nel sistema. «So che si sta pensando di attivarne un certo numero per fare i tamponi per verificare l’avvenuta guarigione, come e quando avverrà non è una decisione che dipende da me» dice il presidente provinciale dei medici. Del resto, tra chi aveva aderito all’appello c’è qualcuno che, nel frattempo, si è ammalto o si è trovato travolto dall’emergenza. Tra questi, il dottor Flavio della Croce, presidente dei Medici cattolici piacentini, un ambu-latorio in Valtidone: «Come medico di famiglia sono sovraccarico di lavoro. Tanti, tanti casi...». Anche il dottor Pagani è medico di medicina generale e ha visto la sua attività rivoluzionata. «Ormai in ambulatorio vediamo pochissime persone, passiamo 8-10 ore al telefono con i pazienti per raccogliere le informazioni che ci servono per fare la diagnosi, consigliare le terapie o eventuali ricorsi al 118. In questo modo contribuiamo a non sovraccaricare il sistema ospedaliero già sotto stress.
Dopo tre settimane abbiamo imparato a conoscere la malattia con un piccolissimo margine di errore». Anche perché – aggiunge – «in giro di influenze tradizionali non ce ne sono, quasi tutti i pazienti che chiamano, con o senza febbre, hanno sintomi riconducibili al Covid–19». Adesso la grande paura è la diffusione nelle regioni del Centro-Sud. «L’unico metodo preventivo è l’isolamento. Non ci sono altre soluzioni efficaci – è netto il dottor Pagani –. Noi ora abbiamo capito perché Wuhan è stata blindata e alle persone è stato imposto di restare in casa. Noi medici siamo preparati a dare ai nostri pazienti anche le brutte notizie. So che la politica ragiona in modo diverso, ma ritengo sia l’ora delle decisioni forti e dure. Non c’è alternativa».