mercoledì 25 marzo 2020
È uno dei tanti sanitari piacentini – in ospedale come sul territorio – che hanno ben presente, a un mese dall’allarme coronavirus scattato nella vicina Codogno, di rischiare molto. Perfino la vita.
Il presidente dell’Ordine dei medici di Piacenza, Augusto Pagani.

Il presidente dell’Ordine dei medici di Piacenza, Augusto Pagani. - .

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«Devo passare da un paziente che sta male. So che molti colleghi non vanno più a domicilio, io sono fatto così. Mi sono procurato i dispositivi di protezione da solo. Bisognerebbe essere in due a metterli, ma...». Il giovane medico di famiglia ha il volto tirato e gli occhi di chi non riposa da tempo.

È uno dei tanti sanitari piacentini – in ospedale come sul territorio – che hanno ben presente, a un mese dall’allarme coronavirus scattato nella vicina Codogno, di rischiare molto. Perfino la vita. È accaduto al dottor Giuseppe Borghi, 64 anni, residente in città ma in servizio a Casalpusterlengo. O al dottor Giuseppe Maini di Castel San Giovanni e al dottor Abdessattar Airoud, siriano di Aleppo, attivo tra Rivergaro e Podenzano, entrambi di 74 anni, che nonostante fossero in pensione non hanno smesso di rispondere alle chiamate dei loro assistiti. Quanti siano i sanitari positivi nel Piacentino il presidente dell’Ordine dei Medici dottor Augusto Pagani non è in grado di dirlo. L’ultimo dato dell’Azienda Usl parla di un centinaio, «ma temo siano molti di più e a noi, come altrove, non viene comunicato».

Con gli altri presidenti degli Ordini dell’Emilia-Romagna ha chiesto con forza al governatore Bonaccini che la categoria venga tutelata con adeguati dispositivi e sottoposta a tampone. «Non chiediamo che siano controllati prima i sanitari per una forma di privilegio – chiarisce – ma perché, se mancano loro, chi curerà i malati?». E mentre a livello nazionale parte la campagna di reclutamento straordinaria di medici e infermieri (l’Ausl piacentina ne aveva già assunti una trentina con contratti libero professionale), c’è una lista di 35 professionisti che, rispondendo all’appello lanciato dal dottor Pagani a inizio marzo, sono pronti a dare il loro contributo volontario.

Solo che finora non è stato possibile trovare una formula, anche assicurativa, per inquadrarli nel sistema. «So che si sta pensando di attivarne un certo numero per fare i tamponi per verificare l’avvenuta guarigione, come e quando avverrà non è una decisione che dipende da me» dice il presidente provinciale dei medici. Del resto, tra chi aveva aderito all’appello c’è qualcuno che, nel frattempo, si è ammalto o si è trovato travolto dall’emergenza. Tra questi, il dottor Flavio della Croce, presidente dei Medici cattolici piacentini, un ambu-latorio in Valtidone: «Come medico di famiglia sono sovraccarico di lavoro. Tanti, tanti casi...». Anche il dottor Pagani è medico di medicina generale e ha visto la sua attività rivoluzionata. «Ormai in ambulatorio vediamo pochissime persone, passiamo 8-10 ore al telefono con i pazienti per raccogliere le informazioni che ci servono per fare la diagnosi, consigliare le terapie o eventuali ricorsi al 118. In questo modo contribuiamo a non sovraccaricare il sistema ospedaliero già sotto stress.

Dopo tre settimane abbiamo imparato a conoscere la malattia con un piccolissimo margine di errore». Anche perché – aggiunge – «in giro di influenze tradizionali non ce ne sono, quasi tutti i pazienti che chiamano, con o senza febbre, hanno sintomi riconducibili al Covid–19». Adesso la grande paura è la diffusione nelle regioni del Centro-Sud. «L’unico metodo preventivo è l’isolamento. Non ci sono altre soluzioni efficaci – è netto il dottor Pagani –. Noi ora abbiamo capito perché Wuhan è stata blindata e alle persone è stato imposto di restare in casa. Noi medici siamo preparati a dare ai nostri pazienti anche le brutte notizie. So che la politica ragiona in modo diverso, ma ritengo sia l’ora delle decisioni forti e dure. Non c’è alternativa».

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