venerdì 5 aprile 2024
Da Nord a Sud, disservizi, liste d’attesa infinite, carenze di persone e mezzi. Milano: anziano dimesso col catetere venoso inserito. Roma: mancano sedie nei reparti e auto per i servizi domiciliari
Una camera di ospedale: spesso mancano anche le sedie per i pazienti e i loro parenti

Una camera di ospedale: spesso mancano anche le sedie per i pazienti e i loro parenti - IMAGOECONOMICA

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Disservizi, liste d’attesa infinite per esami clinici, visite specialistiche e ricoveri, persino errori nelle terapie e nei trattamenti post-operatori. Nella sanità pubblica mancano medici, infermieri, attrezzature, posti letto. Più di tre milioni di italiani non possono permettersi di pagare le prestazioni erogate da strutture private e rinunciano del tutto a curarsi. Gli altri pazienti, invece, sono costretti a stare dentro un sistema che mostra ogni giorno segni di un pericoloso, e forse inarrestabile, declino.

Pietro G., 76 anni, residente in un Comune del Milanese, dimesso da un ospedale specializzato dopo un intervento chirurgico oncologico, ha trascorso venti giorni a casa con il catetere venoso centrale (CVC) ancora inserito rischiando un’infezione, anche perché nessuno, nel frattempo, l’ha medicato. «È una cosa che non va fatta» spiegano gli addetti ai lavori. Se ne sono accorti i medici di un'altra struttura dove l’anziano è stato ricoverato per sottoporsi ad ulteriori accertamenti.

Salvatore Losenno, 52 anni, abita a Pisticci, in provincia di Matera ed è affetto da una neuropatia sensitivo-motoria ereditaria, la Charcot-Marie-Tooth, che lo ha colpito agli arti inferiori. «La mia è una malattia rara riconosciuta – racconta – e finora non sono state trovate cure specifiche». Possono manifestarsi deformità progressive a carico dei piedi e per camminare servono scarpe ortopediche. «Si tratta di tutori al carbonio – spiega Losenno – che io devo portare 18 ore su 24, tutti i giorni dell’anno, perché le tolgo solo quando vado a dormire». Un paio di calzature durano al massimo sette mesi, poi si usurano. «Quindi bisogna cambiarle quasi due volte l’anno per poter deambulare con decenza – aggiunge –, il fatto è che la pratica necessaria per ordinarle è complessa: serve la prescrizione di un neurologo o di un fisiatra del Servizio sanitario nazionale (Ssn) e non quella di un libero professionista, per cui devo aspettare dai 12 ai 18 mesi per avere un appuntamento, i tempi medi di una prenotazione qui in Basilicata. E non esistono corsie preferenziali per abbreviare i tempi a chi ha un’invalidità riconosciuta come la mia».

Anche la carenza di materiali è causa di gravi disagi. «Noi nei reparti e negli ambulatori della Asl Roma 1, zona nord della capitale, le sedie ce le litighiamo – sottolinea Laura Santoro, responsabile di NursingUp del Lazio, ilo sindacato che riunisce operatori socio-sanitari e infermieri –, sono poche e vecchie, si rompono spesso, eppure rappresentano una necessità e un sollievo per i pazienti e i loro parenti che li assistono nelle camere, può sembrare una banalità ma non è così. Molti degenti inoltre si lamentano, giustamente, perché negli ospedali ci sono sempre meno edicole e farmacie». Ma non basta. «Mancano, o si rompono spesso anche le automobili di servizio e diventa sempre più difficile per noi svolgere le prestazioni sanitarie sul territorio e quelle a domicilio – rileva la sindacalista – tanto che l’altro giorno una collega ha dovuto chiedere dei passaggi a dei conoscenti per potersi recare a casa dei pazienti che abitano in periferia».

Giuseppe G., 66 anni, di Urbino, attende da più di un mese di essere operato al cervello per la rimozione di un cancro. Il rischio, gli hanno detto i professori di una rinomata struttura del Nord a cui si è rivolto, è che la massa tumorale, benché di natura benigna, si ingrandisca provocando danni cerebrali. Un caso come il suo va operato il prima possibile. Ma al momento degli accertamenti clinici alcuni parametri erano fuori norma. «Sono stato rimandato a casa con una terapia, l’ho seguita con attenzione e i valori sono tornati finalmente dentro i limiti, quindi – racconta Giuseppe – ho cercato di mettermi in contatto con l’ospedale e con il reparto per far sapere che ero pronto: ho chiamato il centralino quattro-cinque volte durante la giornata ma la linea era sempre occupata... ci ho riprovato per un paio di giorni senza esito finché non sono riuscito a trovare, grazie a un’amicizia, il numero diretto della segreteria del chirurgo e ora aspetto di entrare nella lista d’attesa per l’intervento: ma ci sono altre urgenze e il rischio è che i valori incriminati salgano di nuovo e io debba aspettare ancora». Anche i telefonisti degli ospedali sono pochi e troppo impegnati. «Le chiamate sono tante, le linee si intasano e noi non ce la facciamo a star dietro a tutti» si giustificano gli operatori. Quella del personale è dunque un’altra piaga da sanare. E non si tratta solo dei professionisti della sanità.

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