mercoledì 20 settembre 2023
Attualmente i centri sono 10, di cui 9 attivi. Ma raddoppiarli comporterebbe diversi problemi e non aumenterebbe la percentuale di rimpatri, secondo giuristi, associazioni e sindacati di polizia.
Il Centro per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli a Milano

Il Centro per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli a Milano - IMAGOECONOMICA

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All’indomani del Consiglio dei ministri che ha detto sì all’allungamento dei tempi di permanenza nei centri dei migranti da rimpatriare (CPR), è stato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a difendere l’ennesimo tentativo di giro di vite. «La norma sui Cpr è contenuta in una cornice europea, che prevede la possibilità del trattenimento fino a 18 mesi - ha detto -. Rafforzare la capacità dello Stato di espulsione è una cosa che ci chiede l'Europa. È previsto dalle normative ed è una delle raccomandazioni che l'Europa ha fatto all’Italia...». Europa o meno, il fatto è che - ricorrendo alla decretazione d'urgenza e allo stato di emergenza - da mesi l’esecutivo prova a fronteggiare l’ondata di sbarchi, che ha superato quota 130mila arrivi da gennaio, con un totale di 141mila migranti attualmente in accoglienza. Lunedì prossimo è previsto un nuovo Cdm, che potrebbe avere sul tavolo un ulteriore decreto legge su migranti e sicurezza (con norme per accertare la reale età dei minori, per canali differenziati di ingresso per donne e bambini under 14 e per velocizzare i rimpatri dei migranti autori di reati). Ma le misure deliberate in Cdm lunedì scorso (da inserire nel decreto Sud) - che prevedono il raddoppio dei Cpr (da 10 a 20, uno per Regione) e allungano da 6 a 18 mesi il tempo massimo di trattenimento dei migranti da rimpatriare - suscitano perplessità di giuristi, addetti ai lavori, enti e associazioni che operano coi migranti, oltre alla contrarietà di diversi sindaci e presidenti di Regione.

La situazione attuale

Al momento, i Cpr sono 9 (il decimo, a Torino, è chiuso) con 619 posti disponibili. Sono distribuiti in 7 regioni (Puglia, Sicilia, Lazio, Basilicata, Friuli Venezia-Giulia, Sardegna e Lombardia). Secondo i dati forniti dal Garante dei detenuti, al momento gli ospiti in totale sono 592, di cui 587 uomini e 5 donne (tutte nel centro di Ponte Galeria a Roma, l'unico con una sezione femminile) . La sola struttura sovraffollata è quella di Trapani, dove al momento si contano 110 migranti su una capienza di 108 posti. Riguardo a quelli nuovi da aggiungere, una lista del governo ancora non c’è, ma fonti di maggioranza ipotizzano che il piano per realizzare altre 10 strutture sarà pronto in un paio di mesi. Con quali modalità? Secondo quanto trapela finora, il Genio militare potrebbe recuperare caserme dismesse o altri edifici in località «a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili».

L'altolà dei governatori

Ma un altolà arriva dal governatore dem della Toscana Eugenio Giani: «Non darò l’ok a nessun Cpr in Toscana. Si stanno prendendo in giro gli italiani, il problema dell’immigrazione è come accoglierli, non come buttarli fuori». Rincara la dose il governatore emiliano Stefano Bonaccini, presidente del Pd: «Di Cpr non sappiamo nulla, se qualcuno vuole costruirne uno, ci dica dove lo vuole fare», lamenta, parlando di «improvvisazione » del governo. «Giani ha detto che non riaprirà i Cpr, Zaia che nessuno gli ha parlato di un Cpr in Veneto, Kompatscher che “se apriamo un Cpr, sarà solo per 50 persone”». Insomma, i governatori vogliono dire la propria sulla lista e mandano un avvertimento a Palazzo Chigi: «Ci chiami qualcuno a Roma - incalza Bonaccini - e ci spieghino cosa vogliono fare».

I dubbi dei sindacati di polizia: c'è il rischio di «creare delle bombe sociali»

Ma sull'intenzione del governo di raddoppiare i centri si addensano, come detto, dubbi da parte degli addetti ai lavori del comparto sicurezza. «I tempi di permanenza nei Cpr già oggi rappresentano un problema, l'idea di arrivare a 18 mesi non solo rischia di essere inefficace rispetto agli obiettivi che il governo si è dato, ma soprattutto rischia di ingenerare nuove tensioni sociali e gravi problemi di ordine pubblico», argomenta Pietro Colapietro, segretario generale del sindacato di polizia Silp-Cgil, commentando il piano del Governo. I Cpr, ritiene il sindacato di polizia, sono «strutture detentive anomale». Nelle 9 oggi esistenti, «che sono al collasso, già oggi ci sono scontri, tentativi di evasione, problemi di gestione con la conseguenza che spesso poliziotti e migranti mettono a rischio la propria incolumità - considera Colapietro -. Tutto questo avviene con l'attuale limite dei 6 mesi e con l'incapacità storica di sottoscrivere accordi coi Paesi di provenienza. Figuriamoci se si allungano a 18 mesi i tempi di permanenza. Stiamo creando delle vere e proprie bombe sociali» Non solo. Se, come è stato annunciato - aggiunge il sindacalista - «verranno creati altri Cpr, quali uomini e quali mezzi avranno a disposizione atteso che già oggi nelle principali città italiane poliziotti e carabinieri sono in sofferenza di organico? Le promesse del governo sulle assunzioni sono carta straccia perché nessuna risorsa è stata prevista per le assunzioni straordinarie. Quelle ordinarie non compensano i pensionamenti. Come la risolviamo?».

La carenza di agenti

Per gestire un Cpr che ospita 150-200 persone, servono almeno 20 persone per turno, reperite tra le varie forze di polizia, sguarnendo in parte gli uffici sul territorio. Quindi, calcolano i sindacalisti di polizia, per gestire i quattro turni quotidiani più lo smontante occorrono un centinaio di operatori tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e militari. Tutto ciò, escludendo coloro che gestiscono le pratiche amministrative e i rimpatri. Perciò, si chiedono, «se apriamo nuovi Cpr, dove recuperiamo tutto questo personale», in una situazione generale in cui «gli uffici immigrazione sono al collasso, senza nuove risorse per le assunzioni o per il rinnovo del contratto di lavoro delle divise, con ritardi nel pagamento degli straordinari anche fino a 18 mesi».

Senza accordi, solo metà rimpatri

L'altra grande obiezione alla realizzazione di altri centri riguarda la reale possibilità di aumentare la quota dei migranti rimpatriati. Le statistiche degli ultimi anni parlano chiaro. Le menziona il Garante dei detenuti Mauro Palma ricorda: «La durata del trattenimento non è connessa all’effettiva possibilità di rimpatrio. Anche in passato, quando erano previsti 18 mesi, il numero dei rimpatriati è rimasto pari al 50%». Ciò perché, anche aumentando i posti nei centri, senza accordi bilaterali con gli Stati che non accettano riammissioni, si rischia di restare su quella percentuale. Per dirla con Palma, «l'effettività dipende invece dal rapporto con gli Stati per i rimpatri. E il rischio di trattenere le persone fino a 18 mesi all'interno dei Cpr è che queste siano poi meno armonicamente connesse con il territorio quando potranno, eventualmente, lasciare le strutture». Se tuttavia si decide di aumentare comunque il tempo di permanenza, diversi giuristi chiedono di ripensare l'organizzazione dei Centri, per cambiare l'attuale modello, che ha caratteristiche di tipo detentivo. Inoltre, se allo scadere dei 18 mesi non si può rimpatriare il cittadino straniero perché non ci sono accordi col suo Paese di provenienza, per lui le porte del Pcr debbono aprirsi. Resta dunque la madre di tutte le domande: se non saranno in grado di garantire un aumento della quota di rimpatri, a cosa serviranno i nuovi 10 Cpr? In seno alla maggioranza, c'è chi ritiene che potrebbero comunque fare da deterrente per chi intende partire verso le coste italiane ed europee senza avere diritto all'asilo, prospettandogli un futuro prossimo da "recluso temporaneo". Ma pare difficile pensare che il tenere qualche migliaio di persone rinchiuse per 18 mesi possa incidere realmente sui movimenti di centinaia di migliaia di migranti l'anno.



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