mercoledì 21 giugno 2017
La musica che salva, che rieduca, che va “oltre le mura”. Presso la casa circondariale di San Vittore (Mi)
«Dalla musica la vera libertà»
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Ore 15.30 ha inizio il concerto. Puntuali come alla Scala – sorridiamo pensando al paragone – ma qui i motivi sono ben altri: siamo nel cortile interno del carcere di San Vittore e le coriste detenute hanno un’ora per esibirsi. “Oltre le mura” è il titolo dell’iniziativa, voluta da Auser Bergamo e Lombardia in collaborazione con la Camera del Lavoro Metropolitana di Milano e il supporto di Yamaha (che ha concesso la tastiera professionale), e l’obiettivo è più che artistico: “La musica salva, rieduca, insegna a vivere insieme e ritesse le relazioni anche in un luogo come questo, dove tutto è difficile”, spiega Sara Bordoni, direttrice del coro. Soprano solista in diversi ensemble musicali e cori gospel, ogni settimana entra in carcere per donare il suo talento a ragazze che il passato lo hanno scolpito in faccia, ma che in quell’ora e mezza di canto riscoprono la bellezza.

Si chiamano Yvonne, Jennifer, Alina, Carole, Blessing… e oggi vengono da Filippine, Nigeria, Romania, Malesia. Da tutto il mondo tranne l’Italia, “ma è un caso – sottolinea Matteo Magistrali, responsabile artistico del progetto di musicoterapia –, il fatto è che in un carcere il turn over è frequentissimo, e chi c’è oggi non ci sarà domani”. Così anche il coro è un organismo vivo e mutevole, un giorno di venti elementi, domani della metà…

“In un mondo che non ci vuole più, il mio canto libero sei tu…”, ha inizio il concerto, e il primo brano è di Battisti. Lo ha scelto per loro Ylenia Lucisano, giovane cantautrice di grande talento, la voce morbida come un velluto e lo sguardo da cerbiatta: lei e il chitarrista Renato Caruso sono il regalo di Parole & Dintorni, come spiega Riccardo Vitanza, produttore e manager dei due musicisti calabresi: “Oggi è il solstizio d’estate e la Festa della Musica, per questo due artisti del calibro di Ylenia e Renato sono qui a cantare e suonare insieme a queste ragazze, perché il loro spirito voli alto oltre le mura”.

“…nasce il sentimento, nasce in mezzo al pianto – prosegue la musica di Battisti, accarezzata dai toni caldi di Ylenia Lucisano e, sotto, il coro delle ragazze – s’innalza altissimo e va, e vola sulle accuse della gente…”.
Già, le accuse. Scruti i volti delle coriste e fatichi a credere che in altri momenti, con altri occhi, hanno ucciso e rubato. Fatica la stessa Lucisano, che poco prima di cantare lasciava andare le sue emozioni: “Io sono molto emotiva, ma mi tremano le gambe. Non ero mai entrata in un carcere e mi ha fatto impressione attraversare i cancelli e quei corridoi. Ragazze della mia età hanno un passato già così grave. Spero tanto di portare leggerezza e sorriso, qui l’aria è pesante, le mura sono impregnate delle loro vite”.
Dopo Battisti è la volta della chitarra di Caruso, che con le dita pizzica le corde dell’anima e commuove con “Piccolo universo”, canzone capolavoro di Ylenia. “Tenersi stretta questa vita, amarne ogni difetto ¬– dice il testo – andremo avanti nell’incertezza, in mare aperto…”.

Peccato che il mare sia solo dipinto sul muro sbrecciato del cortile che ci fa da teatro, a rappresentare un mondo che lì è utopia. Coralli e pesci e stelle marine sono dipinti nel murales a tinte forti, ma non riescono a rallegrare quel luogo che, scopriamo, è lo spazio per “l’ora d’aria”. Poco più di un fazzoletto. Eppure il pubblico (le altre 70 detenute di San Vittore che non cantano) inizia a crederci e a scaldarsi, soprattutto quando tocca ai versi di Pino Daniele. “Tu dimmi quando, quando…”, mormorano tutte seguendo il coro delle colleghe, “dove sono i tuoi occhi e la tua bocca, forse in Africa, che importa”. Ognuna pensa a qualcuno, è evidente, ma l’Africa l’abbiamo qui sopra la testa, nel fazzoletto circondato da mura alte e picchiato da un sole equatoriale.

Molti sorrisi sono senza denti, i corpi tatuati, i volti segnati da scelte sbagliate o sfortunate, ma sogni e femminilità tornano non appena il coro intona “Quello che le donne non dicono”, perché tutte – ancor più in carcere – vorrebbero spiegare che “abbiamo troppa fantasia e se diciamo una bugia è una mancata verità”, mentre lanciano oltre le mura il loro ideale perduto e a qualcuno cantano che “siamo così, dolcemente complicate”, ma nelle sere tempestose basta portarci delle rose “e ti diremo ancora un altro sì”.

Hanno uomini evanescenti come ricordi (“E’ troppo grande la città per due che come noi non sperano, però si stan cercando”, esplode il canto e spuntano le lacrime). A volte anche figli che crescono lontani (“Sarà difficile chiederti scusa per un mondo che è quel che è”, sono le struggenti parole di Ligabue, “sarà difficile dire tanti auguri a te, a ogni compleanno vai un po’ più via da me”).
Eppure basta un attimo e si scatena la ribellione delle “cattive ragazze” che ruggiscono con i Pink Floyd la loro disobbedienza, “We don’t need no education”, nessuna educazione, nessun controllo, nessuna regola. Ma poi tocca ai gospel e l’intensità della preghiera sale come un grido, “Jesus, You are good” (molte al collo portano il rosario).

Siamo in chiusura e allora “Imagine”, immagina un mondo senza inferno sotto i piedi, e sopra solo cielo, “above us only sky”. Immaginalo se riesci, ma quanto è difficile in quel cortile dove l’erba a terra è di moquette annerita e il tramonto è solo un altro murales, di fronte al fondo marino. Bis, urlano le detenute del pubblico, la direttrice del carcere, Gloria Manzelli, come sempre è dalla loro parte, e allora avanti, “Volare, oooh oooh”, quello che vorrebbero tutte. Solo che noi, ritirati i documenti e i cellulari, usciamo ad occhi bassi per non ostentare la nostra libertà, mentre loro, stupite dall’incantesimo interrotto, ci salutano ammutolite guardandoci fino all’ultimo.

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