venerdì 10 aprile 2015
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Ne​ssun aumento delle tasse. Il governo di Matteo Renzi assicura che il prossimo anno la pressione fiscale non aumenterà. Le clausole di salvaguardia inserite nella scorsa manovra, pari a 16,8 miliardi solo nel 2016, saranno quindi disinnescate, facendo leva su una spending review "giusta" e su una crescita economica più forte del previsto. Inversione di tendenza del Pil. Secondo le nuove stime contenute nel Def, definito dal consiglio dei ministri per ora solo nel quadro macroeconomico, quest'anno il Pil crescerà infatti dello 0,7%, un decimale in più rispetto alla stima d'autunno di +0,6%. Una revisione minima ma che - per una volta - potrebbe essere superata dalla realtà. Rimasto scottato dalla ripresa, auspicata ma mai avvenuta, del 2014, l'esecutivo ha infatti scelto la strada della prudenza. Se alla fine dell'anno, l'economia italiana riserverà delle sorprese più positive sarà tanto di guadagnato, ma per ora si è deciso di volare bassi. Taglio delle tasse nel 2016. Il governo sceglie di avere A differenza del passato, l'aumento del Pil non sarà funzionale al rientro del deficit. Anzi. Nonostante la maggiore spinta all'economia, gli obiettivi di indebitamento restano infatti quelli prefissati: 2,6% quest'anno, 1,8% nel 2016 e 0,8% nel 2017. Come già sperimentato nella legge di stabilità, il governo punta così a garantirsi maggiori margini di manovra, con risorse a disposizione che, ha annunciato Renzi, dopo i 21 miliardi di riduzione della tassazione di quest'anno, potranno "eventualmente", "se ci saranno le condizioni", portare ad un ulteriore taglio delle tasse a partire dall'anno prossimo. Solo ritocchi al deficit. Stesso ragionamento vale anche per il pareggio di bilancio, raggiungibile, secondo l'esecutivo, già dall'anno prossimo, ma confermato al 2017 proprio per "conferire una natura espansiva alla programmazione per il 2016". Il deficit strutturale rientrerà invece di appena lo 0,1% del Pil e non - come comporterebbe un'applicazione rigida delle regole Ue - dello 0,5%. Grazie alla clausola sulle riforme offerta dalla comunicazione sulla flessibilità Ue di cui il governo intende avvalersi pienamente, la correzione sarà dunque di circa un miliardo e mezzo, oltre 6 in meno (pari allo 0,4% di differenza) di quanto sarebbe invece costata. Sul fronte del debito, il 2015 sarà ancora un anno di difficoltà con un'ulteriore salita rispetto ai livelli record già toccati nel 2014. Poi, grazie anche al programma di privatizzazioni, inizierà la discesa e nel 2018 arriverà la vera svolta. Tra tre anni, ha spiegato il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, "la regola europea sarà pienamente soddisfatta. L'incubo della montagna del debito che può attivare la ghigliottina delle regole sarà finalmente finito". La spending review  Fin qui il quadro macro messo a punto nella riunione del consiglio dei ministri, la seconda costola del Def che conterrà anche i dettagli della spending review. L'operazione di revisione della spesa varrà circa 10 miliardi, ha chiarito Renzi, anche se gli spazi di intervento sarebbero di circa il doppio. Il premier ha citato come esempi le partecipate pubbliche e i centri di acquisto, assicurando che i tagli non riguarderanno minimamente le prestazioni ai cittadini. L'impostazione è anzi opposta. "La revisione della spesa - ha puntualizzato il presidente del Consiglio - non è il tentativo di far del male ai cittadini ma di utilizzare meglio loro soldi. Non tocca la carne viva degli italiani, ma gli sprechi della pubblica amministrazione".
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