giovedì 1 marzo 2018
Su una trentina di sigle, scarni impegni solo da Pd, centrodestra, M5S e Leu. Il presidente del Centro, Bosio: servono progetti veri
Il Csi e l'appello ai partiti: «Lo sport, grande assente»
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Se c’è un’attività vitale per la società, fondamentale per la salute e imprescindibile per l’immagine e per l’immaginario di un Paese, è quella sportiva. Eppure, proprio il settore dello sport e la sua regolamentazione sono i grandi assenti di questa campagna elettorale, tanto nei comizi, nelle interviste in tv e nelle tribune politiche quanto nei programmi elettorali, depositati da coalizioni e partiti a gennaio. Una desolante presa d’atto che arriva dal Centro sportivo italiano, che raggruppa 12.863 società (con oltre un milione e 200mila tesserati) e che lancia un appello al Parlamento e al governo che verranno, mettendo a disposizione della politica dieci proposte concrete: «Chiediamo che lo sport sia considerato per quello che vale – dice il presidente del Csi Vittorio Bosio –, ossia uno straordinario strumento per 'attivare' l’Italia e farla diventare la nazione a maggiore vocazione sportiva e con la migliore qualità della vita». VAI AL SITO DEL CSI | IL DOCUMENTO INTEGRALE

NON PERVENUTO
Avvenire ha visionato una trentina di programmi, da quelli degli schieramenti più grandi fino alle sigle meno accreditate nei sondaggi, riscontrando una diffusa assenza del termine «sport». Eppure, nel Paese di 60 milioni di ct dove una mancata qualificazione ai mondiali di calcio diventa tragedia nazionale, e dove si può discettare per mesi in Parlamento e sui giornali sul ritiro della candidatura olimpica di Roma, è paradossale che a pochi partiti interessi occuparsi, qualora dovessero andare al governo, di una piramide che, dalla base amatoriale fino al vertice professionistico, impegna oltre un milione e mezzo di persone, spesso senza la dignità di un vero 'lavoro'. Scorrendo le proposte delle forze politiche, espliciti riferimenti a possibili interventi legislativi in materia si trovano solo in pochi programmi. Il più sostanzioso, in termini di contenuti, è quello del Pd (in totale 42 pagine, in cui il partito di Renzi espone i suoi «100 punti per l’Italia»), che contiene un capitoletto di 23 righe intitolato «lo sport come educazione », con l’elenco di alcune cose fatte e diverse proposte: dal «Codice unico dello sport» al superamento della distinzione tra atleti professionisti e dilettanti fino al recupero degli impianti dismessi». Poi c’è quello del centrodestra (14 pagine sottoscritte da Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia), che tuttavia esprime solo un impegno di principio: «Sostegno ed aiuto all’associazionismo sportivo quale strumento di crescita sociale». Quindi viene il Movimento 5 Stelle che, se da un lato ha già indicato l’olimpionico di nuoto Domenico Fioravanti come potenziale ministro dello Sport, dall’altro non menziona alcuna riforma del settore nelle tre pagine di proposte sottoscritte dal candidato premier Luigi Di Maio. Infine, si può cogliere un riferimento en passant nelle 17 pagine di Liberi e Uguali, dove si menzionano «le attività sportive» nel capitolo degli investimenti sulla scuola. Per il resto, zero carbonella. In qualche caso sarà pure colpa del dovere di sintesi imposto dai programmi, ma una riforma dello sport non sembra interessare a Civica popolare, +Europa, Potere al Popolo, così come a una ventina di altre sigle di qualche rilievo.

L’APPELLO DEL CSI
Vittorio Bosio non nasconde l’amarezza: «L’assenza di protagonismo dello sport si vede anche dalla carenza tematica nei programmi politici», nonostante nel dicembre scorso diversi partiti abbiano aderito a un incontro tenuto ad Assisi dal Csi, inviando i propri rappresentanti. La politica, prosegue il presidente, «ha il compito di portare in alto le istanze delle persone e delle comunità », costruendo «programmi e progetti in grado di rispondere ai bisogni». Nell’appello, il Csi mette a disposizione della politica dieci suggerimenti concreti. Fra questi, spicca la necessità di rafforzare il ministero per lo Sport (in una nazione in cui si praticano ogni giorno un migliaio di discipline, di cui «solo 386 riconosciute dal Coni»), inserendolo in una cabina di regia interministeriale (welfare, sanità, istruzione, ambiente, per citarne alcuni), allargata alla componente del Terzo settore sportivo. Poi c’è il bisogno di «differenziare» le competenze di Coni e federazioni da quelle degli enti di promozione sportiva, così come quello di tutelare le società con «regimi fiscali e tributari semplificati e di favore» fissati per legge e non, come accade oggi, con delibere del Coni. E ancora, dalla base dello sport italiano arriva la richiesta di «favorire il microcredito sportivo» e l’alleanza tra scuole e società sul territorio e d’inserire «nei piani di welfare integrativo e privato lo sport come valore interamente deducibile».

CALO DEI PRATICANTI
E se invece il prossimo governo, di qualunque colore sarà, dovesse disinteressarsi del tema? Lo scenario non è roseo e potrebbe diventare fosco. I dati analizzati dal Csi (relativi al quinquennio 2010-2015) sono indicativi: solo un terzo della popolazione pratica sport. Fra gli under 18 la media sale a due terzi, ma dopo i 25 anni «si registra un costante declino dei praticanti». E se la base si intacca, in futuro potremmo non avere non solo gli agognati campioni, ma tanti altri problemi. Occorre una prospettiva di lungo periodo ma è difficile pensare, conclude il Csi, che ciò possa accadere senza riforme in un sistema rallentato da «soggetti contrapposti » e «norme frammentarie». O si immaginano soluzioni, o è inutile lamentarsi, con tanto di mozioni in Parlamento, perché gli azzurri non andranno al mondiale.

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