venerdì 12 giugno 2015
Le famiglie adottive e affidatarie bocciano il nuovo testo.
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«Una legge che non va bene. Ignora il diritto a mantenere l’anonimato e finirà per incrementare il numero degli infanticidi e degli abbandoni dei neonati in luoghi che mettono in pericolo la loro vita». La bocciatura secca arriva da Donata Nova Micucci, presidente dell’Anfaa, l’associazione delle famiglie adottive e affidataria, che ha illustrato in una lunga lettere ad Avvenire i motivi della contrarietà. Motivi e rivendicazioni che, in una nota, Nova Micucci – assieme a Maria Grazia Breda, presidente della Fondazione Promozione sociale, a Francesco Santanera, presidente dell’Associazione Promozione sociale, e ad Andrea Ciattaglia, direttore della rivista Prospettive Assistenziali –, ha presentato anche a tutti i deputati. «Dobbiamo innanzi tutto ricordare – spiega Nova Micucci – che la Corte Costituzionale non ha abrogato la norma riguardante il diritto alla segretezza del parto. Anzi, ha invitato a cautelare in termini rigorosi il diritto all’anonimato, secondo scelte procedurali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso».  Il progetto di legge licenziato dalla commissione Giustizia della Camera non rispetterebbe questa indicazioni: «Lo Stato si è impegnato nei confronti di queste donne a non rendere mai noto il loro nominativo ed ora il Parlamento non può tradire questo impegno – argomenta Donata Nova Micucci – approvando una normativa che di fatto lo annulla ». A parere della presidente dell’Anfaa la normativa «dovrebbe prevedere la facoltà di recedere dalla decisione a suo tempo assunta e ad esprimere la disponibilità ad incontrare il loro nato». Non ammissibile invece il percorso inverso, come indicato dal testo di legge che lunedì arriva alla Camera. Insomma, non possono essere «i nati da queste donne ad avviare il procedimento presso il Tribunale per i minorenni affinché le rintracci, anche se loro non hanno manifestato la loro disponibilità al riguardo». Se questo succedesse – è l’opinione della rappresentante delle famiglie adottive e affidatarie – «verrebbe violato il diritto alla segretezza ancora riaffermato dalla Corte costituzionale». Il motivo è evidente. Quei documenti passerebbero sotto gli occhi di un numero elevato di persone: giudici, cancellieri, polizia giudiziaria, impiegati addetti, servizi sociali. E questo si potrebbe ripetere in vari tribunali, perché molto probabilmente le donne non abitano più nella città dove hanno partorito. E inoltre, «le lettere di convocazione indirizzate su carta intestata del Tribunale o della procura dei minorenni o da altro ente, per verificare la loro disponibilità, potrebbero molto facilmente essere viste dai loro familiari ». Mariti e altri figli che – come è facile immaginare – non sanno nulla di quel figlio non riconosciuto.  Ma c’è un altro aspetto che preoccupa le famiglie adottive e affidatarie: che conseguenze ci sarebbero con questa norma «per le gestanti che in futuro volessero non riconoscere il proprio nascituro?». Decideranno lo stesso di partorire «sapendo che senza il loro preventivo consenso potranno essere un giorno rintracciate? Che ne sarà dei loro piccoli?». Ultima annotazione. La disposizione «disumana» secondo cui il diritto all’anonimato viene meno con il decesso della madre: «Una violazione palese – scrive ancora Nova Micucci – non solo di quel diritto, ma anche di quello alla riservatezza», che vale sia per la donna stessa, sia per i suoi congiunti. «Attenzione, la vita delle donne che hanno partorito in anonimato – conclude la presidente Anfaa – rischia di essere distrutta da questa legge».
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