venerdì 5 luglio 2013
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«La differenza tra il trapianto di un qualsiasi organo interno e un trapianto di volto o di mani è che un fegato o un rene nuovi non si vedono allo specchio». È immediata la sintesi di Giorgio Iannetti, Ordinario di chirurgia maxillo-facciale all’università Sapienza di Roma, e fotografa la complessa realtà di chi si trova a fare i conti con un’identità nuova in cui riconoscersi e la cui accettazione non è sempre scevra da complicazioni.Professore, quando è possibile questo tipo di intervento e per quale tipologia di pazienti?La premessa fondamentale è che la giustificazione di un intervento, di qualsiasi tipo, è nella sua esatta indicazione terapeutica e sicuramente quando parliamo di motivi oncologici è giusto fare tutto il necessario. Ma ci sono una serie di valutazioni preventive da fare, con una selezione molto attenta dei potenziali pazienti, e che sono relative alla conformazione fisica del soggetto, alle sue motivazioni, al tempo trascorso e a quello a venire. Il paziente sarà sottoposto a uno stress psicofisico fortissimo e dovrà assumere farmaci antirigetto che, pur essendosi raffinati negli anni, possono dare luogo a effetti collaterali seri, anche determinando l’insorgenza di tumori.Quali possono essere, nel paziente trapiantato, le conseguenze nella percezione di sé e degli elementi caratteristici della sua identità?L’intervento, è bene ricordarlo, presuppone che vi sia un donatore cadavere. Quindi, mentre quando parliamo di trapianto di fegato, di cuore, di polmone, l’organo donato svolge la sua funzione rimanendo nascosto, così non si può dire nel caso, per esempio, del trapianto di un arto. In queste particolarissime circostanze, non è possibile trascurare l’impatto psicologico per cui il ricevente, prima o dopo, penserà che sta usando la mano di un morto. Oppure che cercherà di ritrovare una mimica facciale che non gli appartiene più.Non è un intervento di chirurgia estetica, non si sceglie da catalogo.In questo senso la procedura è identica a quella dei trapianti d’organo: una volta accertata la compatibilità tra donatore e ricevente si procede con l’intervento. Ma, dopo aver verificato la compatibilità biologica e quella somatica, non c’è possibilità di scelta ulteriore. Il paziente è chiamato all’improvviso e non può sapere come saranno i tratti del volto o la conformazione della mano. Si può preparare psicologicamente il ricevente all’idea dell’intervento e alle sue conseguenze teoriche, ma non lo si può mai preparare a quale sarà il risultato finale. Non si può scegliere prima il viso che si avrà.Qual è il messaggio da trasmettere a chi sta pensando di sottoporsi a un intervento di questo tipo?Dal punto di vista tecnico è un trapianto complesso ma non impossibile. La vera rivoluzione è stata pensare per la prima volta che fosse possibile effettuare un intervento di questo tipo. Inevitabilmente in questi casi c’è la caccia alla straordinarietà dell’evento, ma quando si parla di vita delle persone serve una reale correttezza, in cui tenere ben distinto l’aspetto scientifico da quello di risonanza mediatica. Un intervento di questo tipo non dovrebbe essere reso noto subito, ma dopo dieci anni, dopo una valutazione scientifica e umana della vicenda e del suo dispiegarsi nella vita quotidiana di chi si è sottoposto all’intervento. Noi, come medici, dobbiamo sempre ricordarci di trattare la persona come un essere umano e non come un caso clinico da esporre ai media.
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