sabato 5 febbraio 2022
«Non può essere la positività a stabilire la causa di decesso di chi è curato per altre malattie. L'evoluzione del virus mostra una patogenicità attenuata. Da chiusure e Dad una ferita per i bambini»
Il professor Massimo Clementi

Il professor Massimo Clementi - Ufficio stampa Ospedale San Raffaele

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«Tra tutti i parametri rilevati quello dei decessi sarà l’ultimo a scendere. Ciononostante i morti per Covid in Italia mi sembrano troppi. Li stiamo calcolando male. Non di rado una persona che entra in un ospedale per un problema ortopedico e che poi perde la vita a causa di complicazioni, viene inserita nell’elenco dei decessi per Covid semplicemente perché, all’ingresso, era risultata positiva al tampone. Francamente questo non ha senso». Massimo Clementi, direttore dei laboratori di Microbiologia e virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano e titolare della cattedra delle stesse discipline all’Università Vita-Salute San Raffaele (ateneo di cui è prorettore), concorda «pienamente» con alcuni suoi colleghi, l’ultimo dei quali è stato il direttore sanitario dell’Ospedale Spallanzani di Roma, Francesco Vaia, sulla necessità di «analizzare meglio» le cause dei decessi per Covid (solo ieri altri 433). «Dovremmo approfondire. Non può essere la positività al tampone a determinare la causa di decesso di un paziente trattato per altre patologie».

Professore, a che punto è la notte?
È già spuntata l’alba. Da un po’ avevamo il sentore che la Delta stesse perdendo colpi perché “tramortita” dalla terza dose dei vaccini, che offrono un’immunità molto solida. Poi ecco questa novità, Omicron, venuta fuori da Botswana e Sudafrica, aree dove ci sono pochi vaccinati e tante persone con infezioni da Hiv e con tubercolosi.

Che cosa significa?
Che il virus muta per sopravvivere e non sempre per arrecare danni gravi.

Mi scusi, e cosa c’entra l’Hiv con i vaccini anti-Covid?
C’è un parallelismo scientifico straordinario. Quando arrivarono farmaci efficaci contro l’Aids, il virus che lo provoca, cioè l’Hiv, poteva diventare in alcune condizioni resistente alle terapie. Ma in cambio della resistenza doveva rinunciare a qualcosa. Oggi accade la stessa cosa. Il Sars-CoV-2 è altamente diffusivo, resterà con noi, ma avverte la potente pressione dei vaccini. E allora, per sopravvivere, diciamo così, rinuncia a qualcosa.

A cosa?
Ha rinunciato alla capacità di infettare le basse vie aeree. Diciamo che se la prende con quelle alte ma non infetta bronchi, bronchioli e alveoli, dove cioè provocherebbe danni maggiori. Insomma, questo virus sta diventando quello che ci aspettavamo dovesse diventare, cioè un virus che, per banalizzare, patologicamente arreca un raffreddore o poco più.

E se arrivassero altre varianti più pericolose?
Non possiamo escluderlo. Questo andrà valutato nel tempo. Ma la direzione che l’evoluzione del virus ha preso è quella di un’attenuazione del potenziale patogeno. Rimarrà con noi, probabilmente sarà stagionale.

Saremo dunque chiamati a fare un richiamo vaccinale annuale?
Potrebbe non essere necessario se la patologia sarà quella appena descritta. Ritengo più probabile che si arriverà a fare un richiamo per le categorie più fragili della popolazione.

Insomma, i successori di Omicron non dovrebbero riservarci brutte sorprese…
È difficile che accada con questo tipo di virus. Perché ha già preso una traiettoria. Come le dicevo, è sempre possibile che possa presentarsi una variante pericolosa. Ma, anche se ciò accadesse, non è detto che la variante avrebbe vita lunga. Ha visto in quanto tempo Omicron ha soppiantato Delta? Abbiamo però il dovere di non starcene con le mani in mano. Dobbiamo sequenziare e tenere in allerta i laboratori. Quello che non possiamo escludere, invece, è che prendano a circolare altri virus, anche al di fuori della “famiglia” dei coronavirus.

Ci sta per dare qualche… cattiva notizia?
C’è un virus dell’influenza aviaria, chiamato H5, che sta preoccupando molto la comunità scientifica. Finora è solo zoonotico, cioè l’infezione si trasmette dall’animale all’uomo, quindi non tra esseri umani. Ma ha una buona capacità di permanere nel nostro organismo. Ecco la necessità di una rete di monitoraggio mondiale che garantisca una reazione rapida globale in caso di bisogno.

I farmaci antivirali orali cambieranno la storia della pandemia?
Sì ma a due condizioni. Che non li si consideri né come un’alternativa ai vaccini né come delle compresse da assumere in autoprescrizione. Vanno assegnati sotto controllo medico.

Perché ci è sfuggita l’immunità di gregge pur avendo un numero così alto di vaccinati?
Perché la protezione dei vaccini è limitata, qui non siamo di fronte al morbillo. Parlerei più di una fase endemica. Se volessimo arrivare all’immunità dovremmo vaccinarci tutti gli inverni. Ma non so se servirà, come affermavo prima. Anche perché molti soggetti hanno raggiunto l’immunità con l’infezione, pur se lieve o asintomatica.

I guariti sono al sicuro quanto i vaccinati? O di più?
Guariti e vaccinati hanno un’immunità diversa. Mentre il vaccino ci protegge dalla proteina Spike, che il virus utilizza per entrare nelle cellule, l’infezione naturale espone alla nostra risposta immunitaria tutte le proteine del virus. Non solo. Nei guariti l’infezione ha indotto una particolare classe di anticorpi, le "IgA Secretorie", presenti nella mucosa, che rappresentano la prima barriera nei confronti del virus. Non a caso è in sviluppo un vaccino spray nasale per attivare questi anticorpi. Ma si lavora anche ad un immunizzante che protegga dalle principali infezioni respiratorie dell’uomo, dai virus influenzali e da diversi coronavirus. Le nuove piattaforme a Rna ci consentono di sviluppare queste nuove armi.

Stadi, concerti, cinema, teatri e discoteche. Si può rinunciare alle maggiori restrizioni?
Molti Stati europei, anche con una situazione epidemiologica pesante, come la Danimarca, hanno aperto tutto. Noi siamo sempre stati molto prudenti. Ma chi ha la tripla dose o è guarito oggi può tornare a frequentare serenamente questi posti, senza limitazioni.

Non ci sono mai stati tanti minori depressi o con danni psicologici come oggi. Abbiamo sottovalutato le conseguenze di chiusure e Dad per i più piccoli?
Mio padre era giovane quando scoppiò la Seconda guerra mondiale. Mi disse: “Mi mancano alcuni anni della giovinezza perché in quel periodo eravamo come sospesi”. Ora, noi non eravamo in guerra ma per bambini e ragazzi c’è stata una sospensione di tutte quelle attività sociali, anche le più frivole, per le quali un giovane vive. Sì, abbiamo sottovalutato il problema, e di molto.

La pandemia ci lascia anche conseguenze positive?
Dobbiamo evitare quanto già accaduto con le epidemie di Sars e Mers, quando, passato il pericolo, dimenticammo tutto. E così, nel 2019, eravamo disarmati. Al contrario, abbiamo il dovere di continuare a ricercare, a sviluppare farmaci e vaccini per essere pronti. E a studiare con attenzione l’interazione uomo-animale-ambiente. È lì che nascono le sorprese per noi. Quando arrivano le pandemie è già troppo tardi.

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