domenica 13 giugno 2021
L’amarezza del sindaco di Novellara, Elena Carletti: «Quando denunciò il tentativo dei suoi di portarla in Pakistan fu prelevata in 48 ore. Ma lavorare solo coi ragazzi non basta»
I sogni su Instagram e la realtà. II sindaco: «Abbiamo tentato di salvarla»
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Dall ʼinviato a Novellara ( Reggio Emilia) «Saman era una bambina divisa tra due mondi: una società arcaica che le voleva imporre le sue regole e un’illusione di libertà chiamata Instagram. Poteva essere salvata, eppure non sappiamo neanche adesso come. Povere Saman, perché quello che è successo a lei può succedere di nuovo».

Arrivati a questo punto dell’intervista, non capisci se a parlarti è il sindaco o la mamma. Ancora si cerca il corpo di Saman, ma ogni madre emiliana è già Maria, nella Pietà michelangiolesca. Il calvario e la morte della bambina invisibile decretano il fallimento: neanche uno Stato che funziona riesce a salvare i suoi figli. Elena Carletti, primo cittadino di Novellara, conferma quel che già si sapeva. La ragazzina ha ricevuto tutta l’assistenza possibile dai servizi sociali dell’Unione della Bassa Reggiana. Quando si è profilata la possibilità che i genitori la portassero in patria per darla in moglie a un connazionale è stata tolta alla famiglia ed accolta in una comunità protetta; è stato costruito per lei un percorso educativo; i Carabinieri hanno vigilato; il maresciallo l’ha seguita passo, cercando di metterla in guardia. Tuttavia, al compimento del diciottesimo anno d’età, Saman si è fidata dei genitori ed è rientrata nella cascina di Novellara.

«È dolorosissimo recidere un legame famigliare – commenta il sindaco – e in quel modo, a quel che si sa, la ragazza è andata incontro alla sua esecuzione». Nessuno spera ancora che Saman sia fuggita in Belgio, come aveva fatto a diciassette anni, quando la pressione famigliare iniziava a farsi insostenibile e un amore adolescenziale, iniziato forse nel web, la illudeva che la vita per una #ragazzaitaliana fosse davvero a portata di clic. Il social network era l’unica fuga da una vita di isolamento sociale. «L’unico momento in cui potevi incontrare Saman era alla fine dei lavori nei campi – raccontano – quando i suoi le permettevano di uscire dalla sua cameretta e passeggiare con la madre sulle carrabili, intorno all’azienda agricola Bartoli».

Una ragazzina invisibile, come decine di giovani asiatiche passate attraverso i programmi dei servizi sociali della Bassa Reggiana negli ultimi anni, quando i ricongiugimenti famigliari hanno precipitato nella grassa provincia emiliana i figli di chi, per decenni, ha reso prospera, con la propria fatica e il proprio silenzio, la filiera del Parmigiano Reggiano e quella delle angurie. Un popolo diviso dalle religioni – musulmani, induisti, buddhisti… – ma unito da un richiamo tribale che rende gli adulti impermeabili all’integrazione culturale con l’Occidente ed espone i giovani alle sirene dell’unica agenzia educativa che funziona: internet e il telefonino. «Per anni, dopo il suo arrivo in Italia – racconta la Carletti – Saman non ha avuto problemi, andava bene a scuola ed era invisibile ai servizi sociali, proprio perché non dava alcun segnale di disagio.

Le istituzioni possono intervenire solo in presenza di denunce; peraltro, alcune violazioni, come l’inosservanza dell’obbligo scolastico, sono punite soltanto con una multa». Quando Saman denunciò il tentativo dei suoi di portarla in Pakistan fu prelevata dalla cascina in 48 ore. «Non ci sono stati ritardi nè omissioni – osserva il primo cittadino –. Semmai, possiamo recriminare sul fatto che non abbiamo ancora tutti gli strumenti necessari per decodificare questi drammi: si lavora sulla famiglia del minore in difficoltà, mentre nel caso dei pachistani si dovrebbe lavorare su tutta la rete dei parenti, che, come si è scoperto, hanno un ruolo più importante dei genitori nella gerarchia del clan».

Rimpianti più che rimorsi, alla Rocca dei Gonzaga e in tutta Novellara, dove non succedono delitti così efferati dalla guerra partigiana. Qualche anno fa, il messo comunale fu freddato sotto i portici della piazza Unità d’Italia e ancora se ne parla. «Ciò che inquieta è che Saman non è la sola ragazzina dilaniata tra un modello famigliare incompatibile con il modo di vivere italiano e la cultura di Instagram, in cui tutto sembra possibile e permesso, facile come un clic, libero come farsi una foto… La “ribelle” Saman all’anagrafe aveva diciotto anni ma in realtà era una bambina che non si rendeva conto del rischio che correva». Elena ha un figlio di tredici anni.

Il Comune adesso teme un’escalation di casi e si sta attrezzando. «Molte altre Saman sono già seguite, seppur con fatica stanno ricostruendosi una vita» segnala il primo cittadino. Esiste una rete di mediatori e corsi di cultura italiana frequentati da 130 donne straniere, ma resta il problema degli strumenti giuridici che consentano, nei casi più gravi, di intervenire contro il silenzio omertoso delle famiglie e il frastuono di un social network, che, come un moderno Omino di Burro, accompagna i ragazzini nel Paese dei balocchi nell’indifferenza generale. Proprio qui a Novellara, negli anni Settanta, il papà della Carletti, leader dei Nomadi, cantava il cambiamento del mondo e l’incapacità di capirlo. Il testo era di un altro grande emiliano, Francesco Guccini, e parlava di una bambina portoghese, un bikini amaranto e qualcosa «che non riusciva a capire, che non poteva intuire ». Nella canzone, la vita era più forte delle regole imposte dagli uomini. A Novellaristan, invece no.

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