mercoledì 12 dicembre 2018
La tragedia di Corinaldo chiama in causa la responsabilità degli adulti e l'urgenza di tornare a educare. Il parere di tre esperti
«I giovani ci chiedono: non lasciateci soli»
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Ma ci voleva la tragedia di Corinaldo per “scoprire” che i giovani sballano? Che in quel locale erano «tutti ubriachi» e che «la droga circolava a fiumi», come hanno riferito i genitori di tanti ragazzi? Che cosa non abbiamo saputo (o voluto) vedere? Dove è mancata la comunità adulta? «Non è certo un mistero che, per la grande maggioranza dei ragazzi, non esiste un divertimento senza lo sballo e che scelgono i locali in base alle sostanze che lì si trovano», ricorda don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile “Beccaria” di Milano e fondatore di Kairos, comunità di accoglienza per minori in difficoltà. «La musica – prosegue il sacerdote – contribuisce allo sballo, allo stordimento e anche questo nuovo fenomeno, il “trap”, evoca continuamente questo scenario. Con i ragazzi della comunità ci confrontiamo quotidianamente su questi testi che trasmettono disvalori totali, cercando di provocarli per metterli in discussione. Noi adulti – è il consiglio di don Claudio a genitori ed educatori – non dobbiamo porci nei loro confronti soltanto in senso oppositivo, perpetuando un modello educativo appreso dalle generazioni che ci hanno preceduto e che oggi non è più adeguato ai tempi nuovi. Non dobbiamo partire dai nostri discorsi, ma dai loro interessi, perché i ragazzi, soprattutto giovani e giovanissimi come quelli che si trovavano a Corinaldo, hanno bisogno e cercano adulti capaci di entrare in dialogo. In un certo senso – conclude il sacerdote – dobbiamo tornare a scuola, perché questa emergenza educativa non si affronta con la legge dei divieti».

«Hanno voglia di essere protagonisti»

Sulla «responsabilità» dei grandi insiste anche Antonio Tinelli, responsabile prevenzione di San Patrignano, comunità di recupero con oltre 1.400 ragazzi ospiti, i cui operatori, ogni anno, incontrano più di 50mila studenti di scuole di tutta Italia. Un osservatorio privilegiato sulla condizione giovanile. Un mondo che, sottolinea Tinelli, «ha una grande voglia di fare, di essere protagonista», di «riconoscere la bellezza della propria unicità» e che, invece, una «società pilotata dal marketing» costringe a «omologarsi nella massa», ritrovandosi, alla fine, «drammaticamente solo». «I nostri adolescenti – osserva l’esperto – sono allo stesso tempo soggetto ma anche oggetto, target di riferimento per attività commerciali e vittime di un mercato che li considera solo come consumatori ». Uno scenario che vede «le regole messe in discussione» e la famiglia sempre più disorientata e «incapace di un vero dialogo con la scuola», come testimoniano anche i sempre più frequenti e preoccupanti episodi di violenza ai danni di insegnanti. Segno di un’alleanza che va rinsaldata su nuove basi. «Non possiamo più fare finta di niente e non muovere un dito sul fronte della prevenzione», avverte Tinelli, ricordando come, soltanto negli ultimi tre anni, «i minori in comunità sono aumentati del 70%» e che, secondo l’ultima Relazione al Parlamento sull’uso di droghe, 888mila studenti italiani hanno provato una sostanza almeno una volta nella vita e che il 26%, più di uno su quattro, lo ha fatto soltanto nel corso dell’ultimo anno. «I nostri ragazzi hanno bisogno di opportunità di crescita vere, ma soprattutto, hanno bisogno di noi adulti – sottolinea Tinelli –. Il nostro dovere è accompagnarli, non lasciarli soli, con un approccio gratuito e disinteressato. Che non è né buonismo né tanto meno paternalismo, ma un’attenzione particolare alla loro crescita e alla costruzione del loro percorso sociale».

«La famiglia torni al centro dell'educare»

La famiglia deve tornare protagonista del lavoro educativo anche per il segretario generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, Paolo Ramonda, che vede un «contesto sociale senza punti di riferimento». «Gli adolescenti – sottolinea – sono orfani, una terra di nessuno, preda del primo occupante, che a questa età sono soprattutto i social. Per questo – aggiunge – è assolutamente necessario ripartire dall’educazione, creando ambienti favorevoli, luoghi belli dove poter sperimentare lo stare insieme positivo». Invece, anche la musica che va per la maggiore, esalta lo sballo, la cultura dell’abuso di sostanze, in linea con «una società, che pur di far soldi, violenta i nostri figli nei loro bisogni più profondi». «È inammissibile che bambini di 12-13 anni si trovassero nella situazione che abbiamo visto a Corinaldo – tuona Ramonda –. La società adulta è la prima a doversi interrogare e a cercare di capire come tutto questo possa essere stato possibile. In quella notte di follia dov’era la comunità adulta? Siamo mancati nel creare una comunità, un terreno sano dove far crescere i nostri ragazzi. Dobbiamo tornare a prestare loro attenzione, con proposte belle. È la nostra responsabilità. Loro vogliono vivere, non morire».

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