venerdì 22 settembre 2023
La vicenda, paradossale, di Laura Ibba, docente precaria da sette anni, costretta a rinunciare alla nomina perché assegnata a un istituto a 150 chilometri da casa. «Non riesco a pagare l'affitto»
«Ho vinto il concorso, ma non mi posso permettere la cattedra»
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Non basta vincere il concorso per ottenere il posto di ruolo nella scuola statale. Bisogna anche poterselo permettere economicamente. Altrimenti, si è costretti a rinunciare, finendo fuori dalle graduatorie. Come se quel concorso, tanto sudato, non fosse mai avvenuto.

È la storia, triste e paradossale, di Laura Ibba, 44 anni, docente abilitata di Scienze Economico-Aziendali che, dopo sette anni di precariato, decide di partecipare al concorso del 2020, posticipato poi nel 2021 e 2022 causa pandemia. Madre di due figlie piccole, di 11 e 13 anni, la docente vede nel concorso l’opportunità di dare una stabilità, anche economica, alla famiglia. Così, studia molto ed è tra i pochi a passare lo scritto. Anche l’orale va bene. «È fatta!», esulta. Ma l’amara sorpresa è dietro l’angolo. L’algoritmo che governa le assegnazioni delle cattedre, la manda a Lido di Ostia, in provincia di Roma, a 150 chilometri da casa. E qui comincia l’avventura dell’insegnante, residente a Gaeta, in provincia di Latina, su e giù per le strade del Lazio.
«Dal 20 agosto, quando mi hanno comunicato la sede, al 31, quando avrei dovuto decidere, ho percorso quel tragitto in tutte le maniere», racconta la docente. Ha provato in auto, impiegandoci circa 2 ore e mezza ad andare e altrettante a tornare. Poi è passata ai mezzi pubblici. «Si deve cambiare cinque volte, utilizzando quattro mezzi diversi e impiegando circa quattro ore a tratta – ricostruisce Laura Ibba –. Insomma: per essere in classe alle 8 mi sarei dovuta alzare alle 3 del mattino, rientrando a pomeriggio inoltrato. O a notte fonda, nel caso, non infrequente, di riunioni pomeridiane». E questa sarebbe stata la sua vita per almeno tre anni. Tanto quanto dura il vincolo di permanenza nella sede assegnata per i neoassunti. Sempre che, dopo, le avrebbero concesso il trasferimento.

L’unica alternativa possibile , insomma, era prendere un appartamento in affitto. «Da una parte – spiega la prof – non volevo lasciare le mie figlie da sole. Dall’altra, non avrei potuto proprio permettermi di pagare il mutuo e le bollette a Gaeta e un affitto a Lido di Ostia».

Così, non senza rammarico e delusione, Laura Ibba decide di rinunciare al ruolo: la cattedra fortemente desiderata e per cui si era tanto impegnata, resta un miraggio. Anzi, un sogno vero e proprio. Secondo le regole che governano l’algoritmo del Ministero, chi rinuncia al ruolo viene automaticamente depennato. Come se non avesse mai partecipato al concorso. E deve ricominciare tutto da capo, dalle Graduatorie provinciali per le supplenze. Da dove, infatti, è ripartita Laura Ibba. Che proprio oggi, ricomincerà l’ottavo anno da supplente precaria a Fondi, in provincia di Latina.

«Con queste regole – sbotta l’insegnante laziale – soltanto chi si può permettere di pagare un appartamento in affitto, può decidere liberamente di accettare una destinazione scomoda. Chi, come me, non ha queste disponibilità economiche, è costretto a rinunciare. Già per il concorso – aggiunge – mi ero dovuta sobbarcare i costi delle trasferte. Visto che per lo scritto sono dovuta andare a Viterbo, a 250 chilometri da casa e per l’orale addirittura a San Giovanni Valdarno, in provincia di Arezzo, a quasi 400 chilometri di distanza, perché il Lazio era accorpato alla Toscana».

Alla fine, anche tutti questi sacrifici non sono bastati. «Questa vicenda – conclude, amaramente, Laura Ibba – dimostra che, nel mondo del lavoro, le donne non sono assolutamente tutelate. Anche dallo Stato. E poi: dov’è il “merito”, tanto sbandierato, se una vincitrice di concorso non è messa nelle condizioni di poter lavorare?».

Nella stessa situazione si trovano tanti altri docenti. Una buona parte, almeno, delle 10mila mancate assunzioni in ruolo di quest’anno, denunciate dal sindacato autonomo Anief. «Puntare sull’algoritmo che non tiene conto di nulla e tratta le persone come se fossero numeri, comporta questo genere di situazioni», denuncia il presidente nazionale Marcello Pacifico. E il coordinatore della Gilda degli insegnanti, Rino Di Meglio, sollecita il Ministero a «fornire i criteri di funzionamento della chiamata unica, con cui si sta procedendo alle nomine a tempo determinato».

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