mercoledì 4 agosto 2021
Nel 2020 ben 1.900 "incursioni": aumentano di anno in anno i cyberattacchi «di dominio pubblico», cioè con un grave impatto sulla società, sulla politica, sull’economia, sulla geopolitica
Hacker alla Regione Lazio: ecco perché non è un caso isolato

Ansa

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Ora che i computer della Regione Lazio sono stati attaccati da un virus della categoria ramsonware (cioè in grado di limitare se non bloccare l’accesso del dispositivo infettato, il quale viene liberato solo dopo il pagamento di un riscatto), bloccando per giorni le prenotazioni sanitarie (vaccini compresi) viene naturale chiedersi: è un caso isolato?

La brutta notizia è che non si tratta di un caso isolato, anzi. Secondo l’ultimo rapporto Clusit della Società Italiana per la Sicurezza Informatica, «nel 2020 i crimini informatici sono aumentati del 12% rispetto al 2019 e del 66% rispetto al 2017». Del 2021 non abbiamo ancora dati certi, ma nel 2020 a livello globale sono avvenuti «1.871 attacchi gravi di dominio pubblico». Cioè, dice il rapporto Clusit, con «un impatto grave e sistemico in ogni aspetto della società, della politica, dell’economia e della geopolitica».
Viene difficile anche solo immaginare 1.871 casi Lazio nel mondo. Ma è così. Tant’è vero che «il danno generato alla collettività nel 2020 dai crimini informatici è stato di 945 miliardi di dollari (erano 600 miliardi nel 2018 - ndr)». Per quello che riguarda l’Italia c’è davvero di che preoccuparsi visto che il ministro Colao ha ammesso che «abbiamo un 95 per cento di server della pubblica amministrazione non affidabili».

Il problema però è mondiale. E non risparmia nessuno. Come si legge nel rapporto «The cost of cybercrime», «ogni minuto e mezzo nel mondo si verifica un cyber attacco a un computer connesso alla Rete». Alcune volte si tratta di pc personali o di piccole aziende, altre volte di sistemi di banche, ospedali, agenzie governative, uffici statali eccetera.

I criminali sono sempre più forti, ma una parte del problema siamo noi. Noi utenti medi di computer che non facciamo abbastanza per proteggere la sicurezza dei nostri computer, smartphone o tablet, personali e aziendali. A partire dal fatto che per pigrizia spesso usiamo la stessa password per più profili.

Ora, riguardo al caso del Lazio, si punta il dito contro lo smart working, visto che la persona alla quale sono state rubate le credenziali si connetteva al sistema da casa. È vero che questo rende i sistemi meno sicuri, ma come i dati mondiali ci indicano i crimini informatici esistono e proliferano oltre lo smart working.

A questo punto sorge spontanea un’altra domanda: possibile che il mondo tecnologico sia così fragile? Per rispondere dobbiamo tenere conto di due cose. La prima è che nessun mondo sarà mai sicuro al 100%. La seconda è che se è vero che con l’aumento del numero di computer e di oggetti tecnologici connessi in Rete il crimine è destinato a crescere, a differenza del passato (dove se bruciavano o venivano trafugati potevamo sparire per sempre), se protetti a dovere gli archivi digitali possono essere ripristinati abbastanza agevolmente.

Resta il grave allarme lanciato nel Clusit 2021: «se non interverremo al più presto, a ogni livello, per proteggerci ancora di più e ancora meglio dai crimini informatici la situazione già molto grave da qui al 2025 diventerà tale da mettere in discussione i benefici economici della rivoluzione tecnologica in atto». Altro che server del Lazio, in gioco c’è il futuro di tutti.

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