mercoledì 10 agosto 2022
L’otorino Trimarchi: «Con Omicron il problema sta diminuendo anche se in molti ne soffrono. Serve sempre una diagnosi rigorosa». La logopedista La Vela: «I pazienti recuperano anche se non del tutto»
Riattivare la funzione olfattiva richiede una rieducazione di circa 6 mesi, nei quali il paziente è chiamato ad annusare essenze diverse

Riattivare la funzione olfattiva richiede una rieducazione di circa 6 mesi, nei quali il paziente è chiamato ad annusare essenze diverse - Icp

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Almeno il 50% dei circa 580 milioni di positivi al Sars-CoV-2 nel mondo dichiara di aver perso o modificato, temporaneamente o a lungo, la percezione di odori e sapori. Basta questo dato per comprendere la portata del fenomeno. Che, nella maggior parte delle volte, scompare spontaneamente. Ma che, non proprio di rado, continua a modificare la qualità della vita degli interessati. Le manifestazioni variano: l’anosmia, per esempio, è l’assenza o diminuzione del senso dell’olfatto, mentre l’ageusia si identifica come la mancanza di gusto. Ma non sono gli unici disturbi di cui tener conto. Perché gli odori possono anche essere percepiti in modo erroneo, si parla allora di parosmia. Ci vuol poco, insomma, a scambiare per plastica bruciata l’essenza del caffè o quella dell’aceto, mentre il fumo di sigaretta può trasformarsi in una sorta di percezione caramellosa. La disgeusia si verifica invece quando un sapore è percepito in modo distorto: e così mangiare dei tagliolini al salmone può regalare (si fa per dire) la sensazione di mettere sotto i denti uno stufato di verdure. Si arriva fino alla fantosmia, ovvero alla percezione di odori inesistenti.

La medicina, che ha fatto molti passi avanti nella comprensione dei meccanismi di aggressione del virus, sta ora cercando soluzioni per quei pazienti che, anche a distanza di due anni dall’infezione, non guariscono. «Il problema è oggi un po’ meno avvertito perché le nuove varianti hanno perso parte della capacità di colpire i polmoni, interessando di più le prime vie aeree», dice l’otorinolaringoiatra dell’Ospedale San Raffaele di Milano, Matteo Trimarchi, professore associato dell’Università Vita-Salute San Raffaele. Quindi, pur essendo sempre presente, «il problema è stato in parte arginato anche dalle vaccinazioni, che hanno limitato gli effetti collaterali della malattia». La percentuale di guarigione da questi sintomi resta alta. «In un lavoro presentato negli Usa, The association of loss of smell to Covid-19 – riprende Trimarchi –, si è visto che il 74% di chi perde l’olfatto dopo il Covid lo recupera entro 30 giorni, l’85% entro 60, il 90% entro 90 giorni, mentre quasi il 95% dei pazienti lo riottiene entro 180 giorni. Quindi la percentuale di chi non riesce a recuperare si attesta intorno al 5%, in altri studi però la casistica sale. Mentre solo il 2-3% di persone alle prese con il Covid ha poi avuto problemi esclusivamente del gusto». Difficile dire se il danno permarrà per molti anni. «Se è vero – aggiunge lo specialista – che nelle patologie dove si verifica una disfunzione neuronale, come le paralisi della faccia, i pazienti che non recuperano entro l’anno non riescono più a farlo pienamente, è anche vero che nella medicina le affermazioni si fanno con le evidenze scientifiche e qui mancano».

Resta importante, spiega Trimarchi, escludere altre cause che possono essere indipendenti dal Covid: «Anche prima del 2020 visitavamo persone con questi disturbi: spesso originavano da un episodio influenzale ma non solo. Ecco perché consiglio sempre una risonanza magnetica in questi casi: ho avuto pazienti che hanno perso gusto e olfatto per la presenza di un meningioma della doccia olfattoria o di altre neoformazioni. Inoltre, patologie neurologiche come il Parkinson, o la sclerosi, possono avere come sintomo di esordio la perdita dell’olfatto. E non vanno esclusi eventuali traumi cranici. Tutti casi rari ma non da escludere». La diagnosi diventa allora quasi terapeutica per agire dopo: «Una buona visita deve comprendere tre fasi – puntualizza il professore –: un’attenta anamnesi, l’osservazione del naso e, attraverso un’endoscopia, quella delle fosse nasali e della mucosa, per rilevare ostruzioni dovute ad allergie, a riniti o a poliposi nasali; infine, va eseguita una valutazione radiologica dell’encefalo». Quando il quadro esclude altre patologie, «occorre rieducare l’olfatto, come fosse un sommelier – racconta Trimarchi – che, mano a mano, riconosce le componenti di un buon vino in modo sempre più selettivo o, se si vuole, come un musicista che progressivamente diventa esperto imparando a distinguere, all’interno di un brano, i suoni generati da strumenti differenti. In questo modo andiamo a ricreare nel paziente una “banca dati” dei profumi, sfruttando la sua capacità di annusare e stimolando la parte olfattoria in una rieducazione che deve durare non meno di sei mesi».

Negli ultimi due anni la domanda di rieducazione è molto cresciuta, dichiara la dottoressa Roberta La Vela, logopedista del “Centro Testa e Collo” di Milano. «Il boom lo abbiamo avuto con la variante Delta del virus. Oggi il problema, in termini di persistenza, si è ridotto ed è stimabile tra il 13 e il 16%, anche se Omicron ha una trasmissibilità 4 volte superiore delle prime varianti». Al “Centro Testa e Collo” 50 pazienti sono stati sottoposti alla riabilitazione olfattiva per non meno di sei mesi. Ecco i risultati: «La nostra casistica – evidenzia La Vela – mostra un miglioramento in circa il 90% dei pazienti. Il risultato è ottimo anche se il recupero va da un 7 ad un 25%. Insomma, tutti migliorano ma nessuno è tornato alla normalità assoluta della funzione. C’è anche da dire che non avevamo dati sul pregresso di questi pazienti, cioè su quale fosse il livello di partenza, soprattutto considerando che spesso presentavano precedenti patologie rino-sinusali».

Ma come si arriva alla riabilitazione e come si svolge? «Dopo la diagnosi eseguita dall’otorinolaringoiatra – afferma La Vela –, io mi occupo della somministrazione dell’olfattometria, strumento che, a completamente della diagnosi, permette di quantificare la compromissione olfattiva. Guido quindi i pazienti, dove c’è una indicazione a farlo, nel training olfattivo di 6 mesi. Al paziente vengono forniti 4 stimoli odorosi che cambiano di mese in mese; lui li annusa sapendo di cosa si tratta e inizia così a stimolare in modo importante tutta la parte olfattoria. Questo “allenamento” deve essere effettuato 2 volte al giorno, mattino e sera: motivazione e costanza sono le chiavi per la buona riuscita». Il training, se ritenuto dall’otorino, può essere accompagnato da terapia farmacologica. «L’importante – consiglia la logopedista – è non temporeggiare perché, come tutte le metodiche rieducative o di ripristino delle funzioni, i primi mesi sono importanti. Ci sono molti studi in corso. Ad oggi quella del training resta la metodica più caldeggiata, che registra i risultati migliori e non ha controindicazioni».

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