mercoledì 18 settembre 2019
Il presidente di LibertàEguale: il Pd è un partito contendibile, i riformisti rimangano
Enrico Morando, già viceministro all'economia nel Governo Renzi e nel Governo Gentiloni

Enrico Morando, già viceministro all'economia nel Governo Renzi e nel Governo Gentiloni

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Difficile trovare un giudizio più netto: «Considero la scissione di Renzi 'peggio che un crimine, un errore politico'». Ricorre a una citazione storica (attribuita al ministro di Polizia di Napoleone, Joseph Fouché) per esprimere il proprio dissenso, Enrico Morando, che nel Pd è uno degli esponenti di riferimento della 'sinistra liberale'. Un’area che unifica diverse culture politiche (socialisti, cristiano sociali, cattolici democratici, liberaldemocratici) e che in buona parte si ritrova nell'associazione LibertàEguale, di cui lo stesso Morando è presidente.


«Matteo dice che era considerato un intruso? Non da tutto il partito. E ciò non gli ha impedito di stravincere il Congresso. Vederlo fare un partitino è sconsolante»

Un errore politico, dunque. Perché? Perché ora siamo impegnati in un’esperienza politica che per noi riformisti è estremamente impegnativa: il governo con il Movimento 5 stelle. Nel Pd si trovano due interpretazioni nettamente diverse: per l’ala più a sinistra si tratta di un’anticipazione tattica di una scelta di tipo strategico, diciamo la riproposizione in chiave moderna della vecchia idea, mai morta, dell’'unità della sinistra', che trova la sua base culturale e politica in quello che oggi si può definire 'populismo di sinistra'; per noi che ci consideriamo i riformisti più coerenti nel Partito democratico, invece, la collaborazione con il M5s è solo il frutto di uno stato di necessità, cioè dell’esigenza di sbarrare con metodi costituzionali la strada a Salvini, che vuole cambiare la collocazione internazionale dell’Italia e che propone l’idea di un allontanamento significativo dalla democrazia liberale. Ecco, l’iniziativa di Matteo Renzi indebolisce questa seconda area e rende più difficile rovesciare nuovamente i rapporti di forza interni al Pd.

Insomma, le battaglie si fanno dall’interno? Certo. In questo momento siamo minoranza, ma si è già dimostrato nei fatti, non è una mia opinione, che la leadership e quindi la linea politica del Pd sono veramente contendibili. La sinistra interna, che ha vinto prima con Veltroni al Lingotto e poi con Bersani, ha poi perso grazie alla proposta forte, fresca e giovane di Renzi. Dopo il referendum costituzionale e le elezioni del 4 marzo siamo stati nuovamente sconfitti, ma è possibile tornare a vincere sia nel Pd sia nel Paese. La scelta di Renzi indebolisce questa possibilità.

L’ex segretario, però, dice di essere stato trattato come «un intruso» e «un abusivo». Forse non ha tutti i torti... È vero, ma solo per una parte del Pd. E per altro ciò non gli ha impedito di stravincere il Congresso. Il Pd non è uno dei vecchi partiti, dove si procede dal-l’alto, per cooptazione. Renzi stesso ha ribadito nell’intervista di ieri di essere ancora, come noi, per la vocazione maggioritaria e contrario al sistema elettorale proporzionale. Ecco, l’idea che parte dei riformisti si rintani in un partitino è veramente sconsolante. È una scelta di mera testimonianza.

Sembra di capire che non prevede grandi successi per il partito renziano. Non c’è uno spazio al centro da occupare? Penso che sia il Pd a dover rappresentare quegli elettori, grazie alla nostra iniziativa. In tutti i grandi partiti a vocazione maggioritaria – dai Democratici americani ai Laburisti britannici, alla Spd tedesca – vivono e si confrontano almeno due posizioni differenti. Spero che tutti i riformisti restino per fare la battaglia dove conta farla, cioè nel Partito democratico. È quanto dirò anche Orvieto, all’Assemblea di LibertàEguale del 28 e 29 settembre. Dove ascolterò con attenzione anche gli argomenti di chi sta facendo scelte diverse. Ma la nostra posizione è questa.

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