mercoledì 8 dicembre 2010
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Alla Camera i numeri ci sono, bisogna andare avanti e proseguire la legislatura, ne ha bisogno il Paese, in questo momento delicato». Silvio Berlusconi rientra a Roma, e si mostra fiducioso sulla partita decisiva, il fatidico 14 dicembre. Nei primi colloqui con Angelino Alfano e Gianni Letta, conferma la linea: di dimettersi non se ne parla. E di Berlusconi bis si potrà parlare solo dal 15 in poi. Quando – una volta ottenuta la fiducia, come spera – si potrà trattare su rapporti di forza molto diversi. È una prospettiva che, rilanciando l’intervista al nostro giornale di Gaetano Quagliariello, fa sua Sandro Bondi, auspicando che «dopo aver votato la fiducia alla Camera, si determinino le condizioni per una base parlamentare più ampia e la ricomposizione dell’area moderata».Ora Berlusconi si concentra sul discorso alla Camera. Col quale si rivolgerà in particolare ai moderati e ai deputati eletti col centrodestra con un appello a far prevalere il senso di responsabilità nel delicato momento del Paese. Nel frattempo si tengono aperti i canali diplomatici con una decina di deputati in grado di sovvertire il pallottoliere di Montecitorio che vede al momento prevalere la mozione del non-polo Fini-Casini-Rutelli per 317-318 voti contro i 310-311 dell’asse Pdl-Lega. Venuta meno la disponibilità dei radicali, si spera in un paio di defezioni fra i finiani e nell’Udc, si tiene aperto il canale coi 3 liberaldemocratici, si punta a nuovi "arrivi" dopo quello dell’ex Pd e Api Massimo Calearo. Ma qualcosa si muove anche fra i deputati di Idv e non è un caso che il capogruppo Massimo Donadi tuoni contro eventuali «giuda». Non fa nomi, ma scoppiano due casi. Antonio Razzi rende noto che la sua firma alla mozione di sfiducia in realtà non l’ha mai apposta. Mentre Domenico Scilipoti dice di non aver deciso, ma di aver nel frattempo avuto una telefonata da Donadi di tipo «intimidatorio», che lo fa propendere per la scelta opposta. Il premier si è cimentato anche in prima persona, incontrando l’"inquieto" Riccardo Villari (ex Pd ora nel gruppo misto, il cui voto è già nel conto della maggioranza), l’ex ministro, per pochi giorni, Aldo Brancher, il ministro Renato Brunetta e il leader di Noi Sud Arturo Iannaccone, che resta nella maggioranza dopo la strappo di Raffaele Lombardo.Ma sul versante opposto i conti che si fanno portano da tutt’altra parte. «Escludo ci sarà la fiducia a Montecitorio», dice Gianfranco Fini a Ballarò. Il leader di Fli e Pier Ferdinando Casini si sono visti di nuovo. Anzi, si dicono certi che alla fine ci sarà anche il voto di Giampiero Catone, il 35esimo deputato di Fli che non aveva firmato. Ma il leader dell’Udc e quello di Fli, avendo ormai chiaro che Berlusconi non lascia, fanno già i conti col dopo, con un governo alternativo che non avrebbe al momento i numeri al Senato, e con un nome da trovare per scongiurare la precipitazione verso le urne. «Voterei sia Gianni Letta che Draghi», dice Casini. Ma sulla disponibilità dei due, per ora, non c’è traccia. Fini però continua a scommettere che non si andrà al voto. Ma se si andrà, smentisce un’ipotesi affacciata da Fabio Granata: «Saremo alleati con l’"area di responsabilità", mai col Pd, i nostri elettori non capirebbero».
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