giovedì 25 novembre 2021
I dati drammatici del fenomeno: femminicidi in crescita, uno ogni 72 ore. Leggi e diritti calpestati. Pronte nuove misure del governo: strumenti più efficaci e braccialetto elettronico per i recidivi
Una panchina rossa, simbolo della violenza contro le donne, alla Camera dei deputati

Una panchina rossa, simbolo della violenza contro le donne, alla Camera dei deputati - ANSA / Immagine tratta dal profilo Twitter Camera dei deputati

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«Troppe le donne uccise, troppe le richieste di aiuto non adeguatamente e tempestivamente raccolte. Una vergogna della nostra civiltà»: nelle parole di Marta Cartabia c’è la presa d’atto di un sistema che non sta funzionando. Da 40 anni lo Stato ha cancellato quell’aberrazione che era il delitto d’onore. Da allora periodicamente il codice è stato aggiornato, la prassi adattata ai tempi: nuovi reati, pene più severe, campagna di prevenzione, centri d’ascolto. Poi però arriva il tempo dei bilanci, come nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne che si celebra oggi.

Sono 109 quelle uccise dall’inizio dell’anno, l’8% in più rispetto all’anno scorso, 63 per mano del partner o dell’ex. Sfregiate, minacciate, calpestate. E non sono fredde statistiche, ma vite interrotte. L’ultima è quella di Juana Cecilia Loayza, 34 anni, uccisa venerdì notte in un parco a Reggio Emilia, da un recidivo: un cortocircuito.

Ora il governo sta pensando a nuove misure. «La gravità dei fatti – dice la ministra della Giustizia – chiamano le istituzioni a ripensare norme e procedure più adeguate»: la violenza di genere non si corregge «solo a colpi di leggi», ma le leggi servono. Il pacchetto cui lavorano cinque ministre, e che dovrebbe arrivare sul tavolo del governo la prossima settimana, punta a interventi sul codice penale e di procedura penale per rafforzare gli strumenti di prevenzione: quindi aumento di pena per i delitti di percosse e le lesioni e procedibilità d’ufficio. E, spiega la ministra Cartabia, occorre rendere più effettive le misure per rendere più efficace l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento alla vittima, «perché troppe volte la violazione di queste prescrizioni si rivela fatale».

Quindi con il Viminale si sta studiando l’estensione dell’utilizzo del braccialetto elettronico e nel caso di rifiuto potrebbero scattare gli arresti domiciliari. Si lavorerà, ha assicurato, sulla «formazione e specializzazione» sia dei pm che dei giudici, «chiamati a prendere difficili decisioni sulla base del rischio e della pericolosità del soggetto».

Come sollecitato anche dalla Commissione d’inchiesta sul femminicidio, presieduta da Valeria Valente, nella sua relazione, che dopo aver passato in rassegna i fascicoli di due anni di delitti, chiede «dove sbagliamo?». Le conclusioni sono l’anatomia di un sistema con diversi punti deboli: solo il 15% delle donne poi uccise aveva in precedenza denunciato, nel 63% dei casi non avevano parlato con nessuno delle violenze subite. Per fortuna ad ascoltarle, ad aiutarle e proteggerle nella quotidianità oltre al lavoro instancabile degli oltre 300 Centri antiviolenza che si fanno carico delle donne in Italia – troppo spesso in solitudine, e senza i fondi adeguati – ci sono anche le comunità e tanti volontari.

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