venerdì 17 febbraio 2012
La Corte di giustizia europea per il «libero mercato»: «Nessuna distanza minima tra le sale scommesse». Secondo la Ue non si devono «proteggere le posizioni commerciali degli operatori esistenti». Inoltre la normativa italiana manca di «chiarezza» sulle concessioni.
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Niente limiti al gioco d’azzardo. In particolare nessun limite alla distanza tra una sala scommesse e l’altra. Il tutto in nome della difesa del libero mercato e della concorrenza. Lo ha sentenziato la Corte di Giustizia della Ue, bocciando la norma italiana che impone una distanza minima da rispettare tra le sale. Non c’è tutela dei cittadini che tenga, neanche i rischi di un «eccesso di offerta», con le evidenti conseguenze. Anzi, bacchetta la Corte, la responsabilità di questa decisione è proprio del nostro Paese «in quanto il settore dei giochi d’azzardo in Italia è stato per lungo tempo caratterizzato da una politica di espansione finalizzata ad aumentare gli introiti fiscali». Insomma, dice la Corte europea, se volete fare affari coi giochi non dovete poi mettere rigidi paletti.La vicenda che ha portato alla sentenza parte nel 1999, quando le autorità italiane hanno assegnato, a seguito di pubbliche gare, un numero rilevante di concessioni per le scommesse sulle competizioni sportive. Ma alcune società rimaste fuori fecero ricorso alla Corte e vinsero una prima volta. Così nel 2006, l’Italia ha messo a concorso altre concessioni, «stabilendo, tra l’altro, che i nuovi punti di vendita delle scommesse dovevano rispettare una distanza minima rispetto a quelli che avevano ottenuto una concessione a seguito della gara del 1999». Nuovo ricorso degli imprenditori Costa e Cifone, gestori di Centri di Trasmissione di Dati legati alla società inglese Stanley, che erano stati accusati del reato di esercizio abusivo delle attività di scommessa, per non aver rispettato le distanze. Per la Corte della Ue hanno ragione. In primo luogo la misura della distanza minima avrebbe «l’effetto di proteggere le posizioni commerciali acquisite dagli operatori già insediati a discapito dei nuovi concessionari, i quali sono costretti a stabilirsi in luoghi meno interessanti dal punto di vista commerciale rispetto a quelli occupati dai primi». Dunque un ragionamento solo di tipo economico: gli affari. Eppure il governo italiano aveva giustificato ampiamente la misura. E non erano motivi economici. Da un lato, infatti, «lo scopo sarebbe di evitare che i consumatori che vivono nei pressi degli esercizi di raccolta delle scommesse siano esposti ad un eccesso di offerta». Motivazione ragionevole, viste le gravi e ben note conseguenze del gioco sulle famiglie, il loro reddito e la loro stessa vita. Ma la Corte, quasi ironizzando, non crede a questo argomento affermando, come detto, che contrasta col boom di concessioni decise dall’Italia a con «una politica di espansione finalizzata ad aumentare gli introiti fiscali». Come dire che l’Italia predica bene a razzola male.Ma la Corte Ue boccia anche l’altra motivazione di tipo "preventivo". Il governo italiano aveva, infatti, sostenuto «che l’obiettivo della normativa sarebbe quello di prevenire il rischio che i consumatori residenti in luoghi meno coperti dall’offerta di tali servizi optino per i giochi clandestini». Dunque portiamo nuove sale gioco legali, evitando di metterle vicino ad altre esistenti. La Corte non ci sta e torna a impugnare la difesa del mercato. «Le norme sulle distanze minime, che sono state imposte non ai concessionari già stabiliti sul mercato bensì ai nuovi concessionari, comporterebbero svantaggi soltanto per questi ultimi». Dunque via libera a sale scommesse una vicina all’altra. Si va verso "strade da gioco" o "quartieri dell’azzardo"?
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