giovedì 11 aprile 2013
​Millecinquecento tonnellate di prodotti, destinate all'industria dei mangimi e non solo, sono state sequestrate in diverse regioni italiane (Marche, Emilia Romagna, Sardegna, Molise e Abruzzo). Ventitrè le persone indagate, coinvolte anche una decina di società. Le reazioni delle associazioni.
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Millecinquecento tonnellate di mais ucraino falsamente certificato come proveniente da agricoltura biologica e 30 tonnellate di soia indiana lavorata contenente in parte pesticidi, destinate all'industria dei mangimi, sono state sequestrate in diverse regioni italiane (Marche, Emilia Romagna, Sardegna, Molise e Abruzzo) dalla Guardia di finanza di Pesaro e dall'Ispettorato repressione frodi del ministero delle Politiche agricole impegnati nell'operazione "Green War". Ventitrè le persone indagate (associazione a delinquere per la frode in commercio), che in caso di condanna rischiano severe pene detentive: coinvolte anche una decina di società, tra cui quelle moldave e ucraine che curavano l'approvvigionamento delle granaglie, e gli enti di certificazione e analisi dei prodotti, con sede a Fano e Sassari, di cui dovranno essere accertati ruolo e responsabilità. Le indagini coordinate dalla procura della Repubblica di Pesaro hanno portato a numerose perquisizioni a carico di operatori del settore che importavano da Paesi terzi limitrofi all'Unione europea granaglie destinate al comparto zootecnico e, in taluni casi, all'alimentazione umana (in particolare soia, mais, grano tenero e lino) falsamente certificate come "bio" ma in realtà non conformi alla normativa comunitaria e nazionale. In alcuni casi, le produzioni agricole certificate come biologiche erano di fatto ottenute con elevato contenuto di Organismi geneticamente modificati (Ogm) o contaminate da agenti chimici vietati nell'agricoltura biologica. Secondo gli investigatori delle Fiamme gialle, l'illecito sistema si articolava su società nazionali che avevano la gestione finanziaria e il controllo di aziende operanti in Moldavia e Ucraina nonchè degli organismi preposti alla certificazione dei prodotti. In particolare, le società in questione, per sottrarsi alla rete dei controlli, provvedevano allo sdoganamento delle merci a Malta, presso una società gestita da personale italiano, per poi farle arrivare nel nostro Paese: in un'occasione, i prodotti agricoli hanno viaggiato su gomma e sono transitati presso la dogana di Trieste-Fernetti. Le reazioni A dispetto della crisi il bio cresce costantemente in termini di consumi e fatturato. Ma proprio per questo suo "appeal", il segmento diventa sempre più spesso bersaglio di frodi e sofisticazioni alimentari. Ecco perchè operazioni come quella della Guardia di finanza di Pesaro sono molto importanti. È necessario mantenere alta l'attenzione sul settore, intensificando i controlli sui prodotti importati da Paesi terzi non in equivalenza. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori, che plaude al maxi-sequestro di stamattina."Il settore primario sta vivendo un profonda crisi e come se non bastasse si deve guardare anche dalle falsificazioni alimentari che lo danneggiano seriamente, con gravi conseguenze da una parte per le aziende e l'occupazione e dall'altra per la salute dei cittadini".  È quanto ha dichiarato il presidente nazionale Confeuro, Rocco Tiso. Un aumento record dei consumi bio del 7,3 per cento in Italia nel 2012 è colpevole il ritardo accumulato nel rendere obbligatoria l'indicazione di origine sugli alimenti che ha favorito il boom delle importazioni diprodotti biologici con aumenti a due cifre negli ultimi anni e il moltiplicarsi di truffe a danno dei produttori biologici italiani e dei consumatori. È quanto afferma la Coldiretti sulla base dei dati ismea nell'esprimere apprezzamento per il maxisequestro della Guardia di Finanza."E' importante che il cittadino possa verificare sempre la tracciabilità del prodotto e privilegiare così quelli nostrani, prodotti dalle nostre terre e sottoposti ai rigorosi controlli dei nostri organi di polizia, piuttosto che cibi sconosciuti e di dubbia provenienza - afferma dal canto suo il presidente nazionale di FareAmbiente Vincenzo Pepe – abbiamo presentato alla Camera una proposta di legge che obbliga gli esercizi commerciali che si occupano di ristorazione, a indicare nel menù, oltre al prezzo, anche la tracciabilità dei prodotti che portano in tavola e i condimenti con cui sono preparati. FareAmbiente, inoltre, si batterà anche sul tasto della prevenzione mediante una capillare campagna di comunicazione al fine di sensibilizzare i cittadini alla percezione del rischio che corre la loro salute ogni qualvolta consumano un prodotto agroalimentare”.
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