lunedì 23 luglio 2018
Quest’anno, dopo circa due secoli, la superficie dei boschi ha superato quella agraria e ormai rappresenta più di un terzo dell’intero territorio italiano
Foreste d'Italia, il patrimonio che chiede una (buona) cura
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Cresce l’Italia verde anche a dispetto di una cementificazione inarrestabile, come certificato, pochi giorni fa, dall’ultimo Rapporto dell’Ispra. Boschi e foreste guadagnano terreno, tanto che oggi, il nostro Paese si può a buon diritto definire una vera e propria “potenza forestale” che in Europa non ha rivali. Una ricchezza che, però, va custodita e governata con cura.

L’anno della svolta è stato il 2018. Per la prima volta, dopo forse due secoli, la superficie forestale ha superato quella agraria (come prova l’Inventario dell’uso delle terre d’Italia) raggiungendo quota 12 milioni di ettari, il 37 per cento dell’intero territorio nazionale. Non solo. Se tra il 1990 e il 2008 le aree urbani si sono espanse per 517mila ettari, quelle boschive lo hanno fatto per ben 640mila. Oggi l’Italia vanta la stessa superficie forestale della Germania (che però ha un territorio più vasto del 16 per cento), tre volte quella Austriaca e ha un coefficiente di boscosità del 7 per cento più alto della Francia. Dal 1990 al oggi ogni minuto in Italia crescono 800 metri quadrati di nuove foreste, tant’è che negli ultimi 50 anni la loro superficie si è raddoppiata.

I dati raccolti dal professor Davide Pettenella, che insegna Scienze forestali all’Università di Padova, parlano chiaro. E rappresentano un fenomeno che investe tutto lo Stivale.

Le domande da porsi allora sono altre. Anzitutto, perché gli italiani sono sostanzialmente all’oscuro di tutto ciò? E poi: cosa sta facendo il nostro Paese per conservare in maniera sostenibile un tale patrimonio?

Se la percezione dei cittadini è così lontana dalla realtà, un ruolo centrale ce l’ha di certo il sistema mediatico, che affianca una copertura quotidiana di eventi drammatici come gli incendi estivi all’esaltazione delle foreste monumentali che, spesso, proprio perché scarsamente manutenute, diventano potenziali focolai. Uno strabismo informatico che provoca un atteggiamento generale per lo più preoccupato per la sorte dei boschi.

Ma non è tutto qui. La carenza di dati è oggettiva ed è uno dei temi più urgenti da affrontare. Qualche giorno fa, nel corso di un’udienza alla Camera, Alessandra Stefani, direttrice della Direzione generale foreste rinata a luglio 2017 in seno al Ministero delle politiche agricole e forestali, ha denunciato che «a causa delle mutazioni delle strutture centrali e periferiche della Repubblica, la ricognizione dei dati a favore dell’Istat si sono frammentati al punto che, dal 2016, l’istituto di statistica non pubblica più la parte delle sue ricerche relative alle foreste». Tutti i dati di cui disponiamo oggi sono stime prodotte da osservazioni satellitari.

L’azione fondamentale per la gestione degli ampi polmoni verdi italiani si è registrata due mesi fa con l’approvazione del Tuff, il Testo unico in materia di foreste e filiere forestali. Una normativa attesa da decenni per stabilire come gestire il patrimonio boschivo della nostra penisola. Un patrimonio la cui espansione, spiega Pettenella, «è figlia dell’abbandono delle aree agricole. Sulle nostre foreste incide l’intervento dell’uomo che in passato ha portato a una semplificazione delle specie presenti, minandone l’equilibrio e la stabilità. Non siamo di fronte a superfici vergini, ma omogenee, popolate spesso a specie pioniere e coetanee».

Una disamina che suggerisce quindi vocazioni diverse per aree differenti: il vincolo paesaggistico che vige dai primi del Novecento su tutti i boschi, oggi potrebbe essere rivisto laddove non ci si trovi di fronte a contesti preziosi per la biodiversità. Ma nei mesi di discussione del Tuff non sono mancati gli scontri tra chi privilegia un approccio conservativo, che punta a preservare i boschi, e chi sostiene che sia venuto il momento di valorizzarli dal punto di vista produttivo, attraverso tagli mirati e sostenibili o la fruizione ludico turistica che necessita di viabilità e strutture. E a dividersi sono stati gli stessi ambientalisti, con Legambiente a favore e Italia nostra, Lipu e Wwf contro. Accademici di scuole diverse hanno sottoscritto nei primi mesi dell’anno appelli a favore o contro il testo. I critici indicano gravi errori scientifici perché si comparano i nuovi boschi ad aree agricole dismesse e sottolineano le emissioni che verranno da un massiccio utilizzo delle masse legnose per incentivare gli impianti di riscaldamento a bio-masse. Pettenella aggiunge invece che «quello che abbiamo davanti è un cambio di mentalità: occorre più gestione attiva, fatta di partnership pubblico-privato e meno controllo passivo. Alla pubblica amministrazione oggi più che il controllo va chiesta collaborazione fattiva».

La partita si giocherà nei prossimi mesi quando arriveranno in Parlamento i nove decreti attuativi al Testo unico. Lì verrà declinata la strategia per gestione delle foreste italiane.

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