sabato 29 dicembre 2012
Difficile l’assistenza pediatrica e sanitaria. La piccola è nata all’ospedale di Bari ed è stata subito trasferita in cella con la madre straniera Dietro le sbarre altre due bambine di poco più di un anno. Alla Asl il compito di intervenire, ma all’interno della casa circondariale manca personale di Ilaria Sesana
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«Non c’è nemmeno una culla degna di questo nome». Le due stanze che ospitano il nido del carcere di Foggia sono state recentemente imbiancate, ma sono prive di qualsiasi suppellettile. E soprattutto, fredde. A garantire un minimo di tepore alle tre mamme detenute e ai loro bambini, solo una stufetta: «Durante la visita del 24 dicembre non ci siamo nemmeno tolti i cappotti», spiega Elisabetta Tomaiuolo, dell’associazione «Mariateresa Di Lascia». È in questo spazio grigio e freddo che sta trascorrendo le sue prime settimane di vita una bambina di appena 15 giorni. La madre è una ragazza straniera, detenuta in attesa di giudizio, che non ha ancora avuto la possibilità di accedere al beneficio dei domiciliari per via della gravità del reato che le viene contestato. Anche il decreto del ministro della Giustizia, Paola Severino, impone di mandare agli arresti fuori dal carcere donne incinte o madri di bimbi piccoli (fino a un massimo di 6 anni) a meno che non vi siano esigenze particolari. La ragazza straniera ha dato alla luce la sua bimba nell’ospedale di Bari due settimane fa e dopo pochi giorni è stata trasferita nella casa circondariale di Foggia. Nel nido del carcere,. assieme alla neonata, ci sono altre due bambine (di poco più di un anno) costrette a trascorrere buona parte della giornata all’interno degli spogli locali della struttura. Senza vedere altri volti che non siano quelli delle mamme e delle agenti di polizia penitenziaria che pure si prodigano al massimo per garantire alle piccole innocenti il massimo del benessere. Ma quello che maggiormente preoccupa gli operatori del carcere è la mancanza di personale medico e paramedico specializzato all’interno del penitenziario.  «Per le bambine è difficile anche essere visitate dal pediatra», denuncia Domenico Mastrulli, segretario nazionale aggiunto del sindacato di polizia Osapp. L’assistenza sanitaria per i detenuti, infatti, fa acqua da tutte le parti: nelle carceri mancano gli specialisti, personale medico e paramedico. «E quando un detenuto sta male siamo costretti a trasportarlo al pronto soccorso – spiega Mastrulli –. Con un enorme dispendio di denaro e di risorse dal momento che è necessario organizzare una scorta per il trasporto e il piantone per un eventuale ricovero». Una condizione di perenne emergenza che mal si concilia con la tutela della salute di una neonata. Dovrebbe essere la Regione, e di conseguenza la Asl, a garantire la tutela della salute dietro le sbarre. Ma il passaggio di competenze dal ministero della Giustizia alla sanità regionale ha incontrato molte difficoltà in Puglia e non solo.«Si riesce a garantire solo l’urgenza. Quello che non lo è viene messo da parte, fino a quando non diventa un’urgenza – sintetizza Alessio Scandurra, coordinatore dell’osservatorio nazionale sulle carceri di Antigone –. Inoltre il carcere è un ambiente malsano: i reparti che ospitano le mamme con i bambini, spesso sono un po’ meglio. Ma rimangono fondamentalmente poco adatti ad accogliere ospiti neonati».
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