venerdì 11 settembre 2009
Il presidente della Camera chiede un «cambio di marcia» e la «volontà di dare vita davvero a momenti di confronto» interni al partit. Risposte piccate a Bossi («Sono stufo di essere liquidato come un matterello») e a Feltri («Non sono un compagno travestito»).
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«Il Pdl? Da quando è nato è come la temperatura di Bolzano: non pervenuta». Gianfranco Fini dice basta e invoca la svolta. «Serve un cambio di marcia. Serve la volontà di dare vita davvero a momenti di confronto. Un confronto che Berlusconi non deve solo annunciare. Ora lo deve promuovere... Silvio, il Pdl ha preso voti dicendo cose che ora vanno fatte! ». È la resa dei conti. Tutto lo stato maggiore del Pdl, schierato in prima fila sotto il tendone color panna allestito nell’hotel a quattro stelle che ospita la scuola di formazione del partito, ascolta imbarazzato l’atto d’accusa del presidente della Camera. Bondi e Verdini si guardano increduli. Anche Gasparri fatica a capire. Eppure il presidente della Camera salendo sul palco era stato subito chiaro: «È mio dovere essere diretto, evitare infingimenti, fare a meno di giocare con le parole». E oggi essere chiaro vuol dire sgombrare subito il campo dalle falsità.È per questo che Fini fa sapere a Bossi di «non avere lo scolapasta in testa» e di essere stufo di vedersi «liquidato come un matterello che ogni tanto dice quello che gli grulla nel cervello». Ed è per questo che a Feltri dice: non ci sto a essere dipinto come un «compagno travestito» anche perché «non ho tra le mie letture preferite il Capitale». E poi basta con le voci di una corsa verso il Quirinale. «Piuttosto - chiarisce Fini - ambisco a succedere a Ban Ki Moon alla guida dell’Onu». L’inquilino di Montecitorio prende fiato, poi arriva al punto: «Basta con questo stillicidio di dichiarazioni basate su ipotesi».I toni sono duri. Gli attacchi decisi. «Voglio più confronto, più dibattito, più democrazia interna», pretende Fini che, passaggio dopo passaggio, prova a  demolire la linea di Berlusconi aprendo una sfida reale sul cui epilogo nessuno scommette. Le critiche si accavallano. Sul rapporto con la Lega. Sulle scelte prese (o non prese) su temi centrali: l’immigrazione, la bioetica, l’economia, le riforme. «Che si aspetta a mettere all’ordine del giorno la legge per ridurre il numerio dei parlamentari?», si interroga Fini. Il presidente della Camera «picchia», ma su un passaggio sorprende e fa interrogare.«Mai, mai, mai bisogna dare l’impressione di non avere a cuore la legalità e la verità...». Molti si guardano, molti cercano di capire, ma Fini arriva presto al punto e invita il Pdl a fugare ogni possibile sospetto di voler contrastare l’azione dei giudici sulle stragi di mafia dell’inizio degli anni Novanta. È il colpo che fa più male al Cavaliere e sottolineare la «convinzione dell’accanimento giudiziario contro Berlusconi» non basta a diluire la portata dirompente dell’affondo. Fini agita le mani e insiste: «Se ci sono elementi nuovi, santo cielo le indagini si devono riaprire. Anche dopo 14 anni. E soprattutto se non si ha nulla da temere come è per Forza Italia e soprattutto per Berlusconi».Il Pdl non ci sta e quando Fini ha già lasciato il palco il dibattito si accende. Fabrizio Cicchitto lo gela: «Sì vanno cercati i colpevoli, ma va evitato qualsiasi tentativo di intossicazione della vita politica italiana», avverte il presidente dei senatori del Pdl, che chiosa: «E va fatta luce anche sulle indagini sbagliate della magistratura». Fini ora è solo. Con lui non ci sono nemmeno i vecchi amici di An. Nemmeno Maurizio Gasparri che avverte netto: «La magistratura si è pronunciata e ci sono dei colpevoli. E allora penso che le nuove indagini non servano ad accertare la verità, ma soltanto ad ordire manovre».L’affondo sulla mafia è una parentesi. Destinata a fare titolo e a rendere più profondo il solco che separa l’inquilino di Palazzo Chigi da quello di Palazzo Montecitorio. Ma è l’intera impostazione dell’intervento di Gianfranco Fini a far capire che lo strappo è reale. Fini non accetta più lo strapotere del premier e lo dice con forza e chiarezza: «Chi si aspettava una sorta di pensiero unico ha sbagliato i conti. E comunque è molto più leale una polemica aperta di una riserva tacita».La polemica c’è. E divampa. Fini racconta un passaggio dell’ultima telefonata privata con il premier e sferra il nuovo attacco. «Io dicevo: Silvio dove sono i momenti di confronto? Lui mi replicava: Gianfranco, ma quale confronto se dal 27 marzo non si è deciso nulla? Ecco il punto: è impensabile che dal 27 marzo non si sia deciso nulla perchè un partito non è, non può essere, un organigramma».Ancora non è chiaro se Berlusconi verrà qui sabato o se interverrà via telefono, ma molti sperano di non vedere il premier e sottovoce ammettono: se viene il rischio che rilanci e che il Pdl imploda potrebbe essere reale. Già perchè Fini disegna un altro Pdl rispetto a quello di Berlusconi. Lo fa rilanciando il voto per gli immigrati e scandendo la sua indignazione: «Bisogna smetterla di mortificare le proposte. Dire voto agli immigrati alle elezioni amministrative non è cattocomunista». I temi si accavallano. La Lega? «Non si possono banalizzare le sue provocazioni. Non si può sottovalutare l’impatto che le ultime offensive, dall’Inno alla Bandiera fino ai dialetti, possono avere nel Mezzogiorno». Il biotestamento? «Non si è trovato un punto di equlibrio che si poteva trovare». Quasi un addio a Silvio?
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