domenica 28 ottobre 2018
La costituzionalista: «Una cosa deve essere più che chiara da parte dei cattolici, mai e poi mai c’è stato il tentativo di imporre qualche sofferenza a qualcuno»
Fabiano Antoniani (dj Fabo), nel letto dove ha trascorso l’ultima parte della vita (Ansa)

Fabiano Antoniani (dj Fabo), nel letto dove ha trascorso l’ultima parte della vita (Ansa)

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All’udienza pubblica di martedì, la Consulta ha iniziato ad affrontare la questione di costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale, norma che punisce non solo l’istigazione, ma anche il mero aiuto al suicidio. Il procedimento le è stato devoluto dalla Corte d’Assise di Milano, presso cui pende il processo a carico di Marco Cappato, il tesoriere dell’associazione radicale Luca Coscioni provocatoriamente autodenunciatosi dopo aver aiutato 'dj Fabo' – cieco e tetraplegico a seguito di un incidente stradale – a morire in Svizzera in una clinica che eroga il suicidio assistito. La Corte, anticipando con un comunicato stampa l’ordinanza che sarà resa pubblica nelle prossime settimane, già mercoledì sera ha annunciato la sua prima decisione, decisamente interlocutoria: sul presupposto che l’attuale piano normativo del fine vita non garantisce il rispetto di tutti i valori costituzionali in gioco, per consentire al Parlamento «di intervenire con un’apposita disciplina» ha rimandato il giudizio all’udienza del 24 settembre 2019. Nel frattempo, il processo a Cappato rimane sospeso. La questione riguarda l’uomo. La sua essenza più profonda, la sua dignità. Ma se anche si volesse considerarla sotto un profilo religioso, «una cosa deve essere più che chiara: da parte dei cattolici, mai e poi mai c’è stato il tentativo di imporre qualche sofferenza a qualcuno». Quando pronuncia queste parole, nel cuore dell’intervista, LorenzaViolini abbandona la sua tranquillità di “saggia” del Governo Letta, di costituzionalista alla Statale di Milano, di esperta delle cosiddette “questioni controverse”. Il suo tono di voce diventa perentorio, e lo ripete: «La premessa di tutta la questione deve essere questa», altrimenti non si può parlare di sofferenza o di fine vita.


Professoressa, la decisione interlocutoria annunciata martedì ha precedenti nella giurisprudenza della Corte?
L’ordinanza, che non abbiamo ancora potuto vedere nella sua interezza ma solo attraverso il comunicato stampa inviato dalla Consulta, prevede un procedimento nuovo per il nostro ordinamento. È stato infatti deciso di non decidere, di rinviare di un anno la decisone per lasciare tempo al Parlamento di modificare la norma penale.

Quali altre vie avrebbe potuto per- correre la Consulta?
Quella più accreditata sarebbe stata l’inammissibilità della questione per discrezionalità legislativa, perché gli effetti di questa “non pronuncia” rispettano comunque la discrezionalità del legislatore. Fino all’eventuale modifica parlamentare, infatti, l’articolo 580 resta in vigore comunque. Unica differenza, il fatto che una declaratoria d’inammissibilità avrebbe determinato la ripresa del processo a Cappato, mentre la “non decisione” di mercoledì comporta che il processo milanese rimanga sospeso.

Ma nella sostanza cos’ha detto la Corte?
Che la norma, così com’è, non va bene.

Chiede dunque alle Camere di tutelare un “diritto al suicidio”?
Leggendo il comunicato, la Consulta sembra invitare il Parlamento a un delicato quanto complesso compito: bilanciare nell’esperienza del fine vita tutti i valori costituzionali in gioco, dunque anche la tutela dell’esistenza umana e dei più deboli.

Da più parti, si è detto che l’articolo 580 costituisce un retaggio del periodo fascista...
Al di là dell’origine storica della norma, essa - a mio avviso- costituisce un modo vecchio per dire una cosa molto attuale: se qualcuno manifesta la ferma intenzione di voler porre fine alla propria vita e dà attuazione a questa sua ferma volontà, tale atto deve essere frutto di una scelta totalmente autonoma, senza alcuna interferenza nel processo decisionale o attuativo. Il legislatore del 1930 ha infatti voluto che una scelta così drammatica non fosse minimamente sfiorata dal dubbio di un’interferenza esterna, garantendo in questo caso tutela all’autodeterminazione pura. Si sa bene infatti che il suicidio, atto ultimo e irreversibile, può essere mosso non solo da una forza estrema, ma anche da grande debolezza, da senso di solitudine, da depressione, da paura ... tutti sentimenti che non devono essere utilizzati per avallare, da parte di soggetti terzi, il proposito. Continuare a garantire una forma di tutela efficace sarà dunque molto importante.

Questo impianto, però, ora sembra scricchiolare...
A mio avviso, se non si tiene conto di tutte e due queste dimensioni, costruire una norma utile e non distruttiva sarà molto difficile.

Qual è dunque il compito che spetta ora al Parlamento?
Il legislatore è oggi chiamato a dare concretezza a tutti i valori costituzionali in gioco e a creare dei meccanismi legislativi che possano adeguatamente bilanciare tali valori anche contrastanti. Un compito arduo, che necessita di tener conto di tutti i fattori e di tutte le questioni in gioco.

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